E’ possibile vivere più vite in una sola. Anzi, probabilmente è la regola. A volte ci sono vite che si intersecano fra loro, altre che apparentemente collidono tra loro, in una corsa sfrenata tra atomi che si distruggono per sprigionare energia. Emanuela Ligarò fa coincidere il suo essere una fisica acustica con le diramazioni della sua arte, indossando come fosse una maschera il moniker Gold Mass con cui ha già pubblicato l’ottimo esordio “Transitions”.
Già con il primo album, la cui registrazione e missaggio sono stati curati da Paul Savage (Mogwai, Franz Ferdinand, Arab Strap), Gold Mass poteva vantare una scrittura profonda quanto a ricerca e misura delle possibilità dei suoni, di un’elettronica che rimarcava chiare ascendenze bristoliane. Con l’EP “Safe” sembra voler circoscrivere in maniera ancora più definita un proprio territorio esistenziale, con una sensibilità ancora maggiore, se possibile, negli arrangiamenti e nella scelta del peso specifico da attribuire ad ogni suono. Peraltro, la resa in studio dei brani viene esaltata dalle performance live (come quella che si è avuto modo di apprezzare ad agosto in occasione di Ypsigrock) in cui l’artista gioca ad allineare le traiettorie electro-pop dei brani ad un’estetica concettuale da cui si trae una suggestione avvolgente.
I quattro brani di “Safe”, questa volta interamente autoprodotti, posseggono una forma più compiuta grazie ad una consapevolezza acquisita nel gestire il respiro di ogni brano, sempre connotato da una energia soffusa che irrora in modo sinuoso ogni singola pulsazione sintetica che punta ad una strategia di sottrazione piuttosto che di stratificazione. L’opener Space vive di lacerazioni al silicio entro cui si amplifica l’intensità della voce, qui particolarmente centrata e che gioca a rincorrersi, la successiva Safe si muove entro un bozzolo languido che si dischiude ad aperture di largo respiro nell’intreccio di una elettronica minimal. Souls ha un corpo scolpito da un drumming innervato da frequenze medio basse che valorizzano il mood malinconico, così come il drum’n’ bass della conclusiva Gravity (forse, la migliore della tracklist), con le sue dilatazioni cosmiche e le rifrazioni di archi che definiscono i contorni dell’inquietudine. “Safe” è la conferma di un talento che guarda alla propria anima per raccontarne le vicende, aprendo le proprie stanze in modo elegante per farvi entrare luce sempre nuova. Ottima conferma.
Giuseppe Rapisarda