No Interview

No Interview – Lucia Manca ci parla di “Maledetto e Benedetto”

“Maledetto e Benedetto” è il nuovo album di Lucia Manca, che vede Matilde Davoli alla produzione. Un lavoro tutto al femminile che, lontano dalle mode del momento, è pervaso da quella malinconia tipica del cantautorato classico, accompagnata da suoni molto moderni e mai ammiccanti.

L’abbiamo incontrata per conoscere meglio questo nuovo lavoro.

Intervista a cura di Egle Taccia

Ciao Lucia, benvenuta su Nonsense Mag.

Sono passati un po’ di anni dal tuo precedente album. Cosa hai fatto in tutto questo tempo e quanto questa pausa è stata importante per la nascita di “Maledetto e Benedetto”?

Sì, sono passati tanti anni dove sono successe molte cose e in alcuni periodi la musica è stata l’ultima delle mie priorità. Sicuramente questa lunga pausa mi è servita a collezionare spunti e idee che mi hanno portato alla realizzazione di “Maledetto e Benedetto”. Nonostante ciò ho avuto la fortuna di collaborare in altri progetti come quello di Populous e Jolly Mare.

Perché hai deciso di chiamarlo così?

“Maledetto e Benedetto” rappresenta le due facce della stessa medaglia, come alcuni momenti negativi della vita che possono rivelarsi dei punti di partenza e di rinascita. Le esperienze possono trasformarsi e permetterci di vivere gli effetti positivi di qualcosa per cui siamo stati male. 

Ci proponi un cantautorato che affonda le proprie radici nella nostra tradizione, ma che viene personalizzato e modernizzato con un uso dell’elettronica molto sobrio, senza troppi ammiccamenti verso ciò che va di moda. Che tipo di atmosfere volevi rappresentare con i suoni del disco?

La produzione e gli arrangiamenti sono stati curati da Matilde Davoli, lei ha saputo dare la giusta direzione stilistica. Abbiamo pensato a qualcosa che desse un seguito all’imaginario nostalgico ed evocativo dei testi ed il risultato per me è stato davvero appropriato.

Una delle cose che apprezzo di te è il tuo modo di cantare che, anche in questo caso, non ammicca, non è urlato e non ostenta virtuosismi eccessivi, ma è in linea con la raffinatezza dell’album e che si discosta da quello di molte tue colleghe. L’intenzione era quella di fondere la tua voce coi suoni?

Sì, quello è uno degli obbiettivi principali, riuscire a dare uniformità a tutto. Ho impiegato un po’ di tempo per convincermi del risultato, soprattutto nei registri più alti che possono risultare facilmente manieristici. Sono contenta che questo risultato venga apprezzato come nel tuo caso, e ti ringrazio.

Le atmosfere dei testi, perfettamente calate dentro la musica, sono avvolte da quella malinconia tipica di un certo cantautorato che ricorda tanto Bindi, Endrigo e Tenco, che infatti inserisci tra i tuoi ascolti. Che messaggio vorresti rimanesse a chi ascolta il tuo album?

Non mi sono prefissata un messaggio uniforme per tutto il disco, non è proprio un concept album. Ogni canzone è una prospettiva personale su argomenti come l’amore (inteso non solo come rapporto di coppia…), le mancanze, le distanze, la perdita.

Alla produzione hai scelto una donna, Matilde Davoli, per un disco tutto al femminile. Come ti sei trovata a lavorare con lei?

Benissimo! Alla base c’è un rapporto di amicizia e la stima artistica che ho nei sui confronti. Le ho fatto ascoltare le mie bozze e lei ci ha costruito intorno gli arrangiamenti e tutta la produzione. Il risultato per me non poteva essere migliore.

Quali sono le maggiori difficoltà che incontrano le donne in ambito musicale, ambiente indubbiamente dominato dalla presenza maschile?

Non sono sicura su quali siano le difficoltà, credo però che alla base ci sia una questione tutt’ora irrisolta che debba essere affrontata sul piano culturale, in generale e quindi anche nella musica. Mi dispiace vedere poche donne nella scena musicale italiana, ma possiamo gridare semplicemente al maschilismo? No! Lo spirito femminista è importante ma bisogna fare attenzione affinché in alcuni casi il tutto non si riduca a una questione numerica basata su delle quote. In politica ad esempio, le misure relative alle quote rosa sono state necessarie, ma per certi versi secondo me ci certificano come una vera e propria minoranza, che ha bisogno di un’imposizione per affermarsi. E i risultati non sono sempre felici, spesso troviamo donne che sono messe lì come pedine. Se questo dovesse accadere in contesti che riguardano l’arte, come appunto nella musica, la cosa sarebbe ancora più triste. Quello che chiamiamo ITPOP ad esempio è un fenomeno che ha una buona componente femminile tra gli ascoltatori, i testi raccontano spesso un certo immaginario femminile, le donne si sentono rappresentate, si appassionano, i numeri crescono e il cerchio si chiude.

Domanda Nonsense: Quali sono le cose che non possono mai mancare nella valigia del tour?

La mia pochette con tutte le medicine.

Guarda il video di Eroi:

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