«Quelli che vivono tranquillamente sulla spiaggia, non potranno mai comprendere la condizione di noi, che siamo in mare in preda ad una tempesta».
Esordiscono così, proclamando i versi del poeta persiano Hafez, i Cafè Loti, calcando il palcoscenico dello Spazio Rossellini, il 7 novembre a Roma. Il gruppo nasce dalla collaborazione di un affiatato trio di artisti, abili nel vestire i panni di “moderni trovatori” e capaci di destreggiarsi egregiamente tra canto, musica ed intrattenimento. Nel loro insieme, Nando Citarella (voce, tammorra, marranzano, chitarra battente), Stefano Saletti (voce, bouzouki, oud, percussioni) e Pejman Tadayon (voce, setar, saz, oud, daf, ney) riescono a trascinare sotto i riflettori il carattere esuberante dei popoli dell’Europa Meridionale, il fascino misterioso dell’Oriente e la raffinatezza della tradizione culturale provenzale.
Il nome del gruppo è un omaggio a Pierre Loti, scrittore e viaggiatore francese, che innamoratosi della Turchia, ne descrisse i luoghi e la bellezza. A lui fu dedicato un noto caffè ad Instabul, scelto dal gruppo come simbolo dell’incontro tra Oriente e Occidente, in una città che è da sempre crocevia di popoli e culture diverse.
L’album “In Taberna” è il loro progetto più recente e ruota attorno al concetto della taverna intesa come luogo d’incontro e di scambio di esperienze ed emozioni. Il lavoro è frutto di una sapiente rielaborazione di antiche ballate medievali, canti popolari e musica tradizionale del Mediterraneo e dell’Oriente. Sonorità, ritmi e opere letterarie vengono reinterpretate in chiave sperimentale e rimescolate insieme, in modo da creare un ponte tra passato e presente, tra musica colta e musica popolare, tra la tradizione orientale e quella occidentale. Ad amplificare questa volontà di sincretismo concorre l’uso di una molteplicità di lingue e idiomi differenti. Particolare è la musicalità del sabir, lingua nata e diffusasi in contesti popolari tra i commercianti del Mediterraneo durante il Medioevo, per favorire gli scambi e la comunicazione tra popolazioni diverse.
Il legame tra la letteratura e la musica dei Café Loti è da subito evidente e le note di “Safar”, il primo brano dell’album, incalzano i versi decantati nell’esordio. Si tratta di un canto di fatica, che parla del duro lavoro dei pescatori in mare, raccontato in sabir, farsi e napoletano. A seguire, è il turno di frenetiche ballate popolari, cantigas spagnole, chanson medievali e melodie orientaleggianti.
La parte successiva dello spettacolo è incentrata sulla reinterpretazione musicale di alcuni testi tratti dai Carmina Burana, nel tentativo di far rivivere lo spirito originario dei componimenti. Caratteristiche sono, dunque, le tematiche del corpus di poesie medievale riprese dai Café Loti: la denuncia sociale, l’amore per la natura, la passione per le feste, le taverne ed il buon vino. Ed è a questo punto che, guidati dal ritmo di brani come “Tempus transit gelidum” o “Bache, bene, venies”, agli spettatori sembra quasi di essere trasportati nel turbinio di una tipica festa medievale, tra danze vorticose e fiumi di vino.
A spezzare l’euforia del momento, però, ci pensa Stefano Saletti, che ci regala una toccante interpretazione del poema “La mia malinconia” di Cecco Angiolieri, unita ad un antico canto spagnolo.
Alla fine, si giunge al commiato. I tre inguaribili chiacchieroni confessano di essere venuti meno alla promessa di parlare meno e suonare di più, e ci danno l’arrivederci sulle note di “Cuncti simus concanentes”, un tradizionale canto liturgico, nato nel medioevo per intrattenere i pellegrini durante i loro viaggi. La musica è allegra, il ritmo vivace ed il tema religioso cede il passo alla gioia dello stare insieme; così l’inno si configura come emblema di uno dei temi portanti del lavoro dei Café Loti, il piacere della convivialità e della condivisione.