F come Fez, Marocco
Ottobre 2016
“Non siamo mica a Cortina!” – una ragazza italo-marocchina mi sorride vedendomi indossare un piumino leggero. “Hai ragione”, penso io.
Atterro a Fez dopo circa 4 ore di volo da Milano. Fa caldo. In Italia, lasciata poche ore prima, l’inverno non aveva stentato a far sentire la sua presenza con pioggia e vento gelido, nei giorni immediatamente precedenti la mia partenza.
Mi accoglie una lunga fila al controllo documenti. È notte ormai, entro ufficialmente nel Paese a mezzanotte inoltrata. Agli arrivi riconosco il nome del mio primo b&b in terra marocchina. Un ragazzo distinto, in divisa, mi saluta e mi aiuta a portare la valigia. Usciamo dall’aeroporto, un luogo ben curato e dall’aria internazionale. Nel parcheggio la musica cambia, letteralmente. Dalle portiere aperte di varie auto in attesa escono note di pop e rap arabo. Il parcheggio semplicemente non esiste, è uno spiazzo sterrato e polveroso. “Si comincia”.
In una ventina di minuti raggiungiamo i piedi della Medina di Fez. Nonostante l’orario, la città è piena di vita. Adulti, bambini chiassosi, colori e odori nuovi. Lo shock, tutto sommato, è ancora debole. Arriva il mio fattorino. “Un fattorino? Ne ho davvero bisogno?”.
Pago l’autista e lo saluto. Siano benedetti i 5 anni di francese fatto alle superiori.
Il fattorino carica il mio zaino sul suo trabiccolo e mi dice di seguirlo. Nell’arco di qualche secondo il suo passo diventa decisamente difficile da sostenere. Fez è un labirinto. Vicoli, scalette, zero punti di riferimento – almeno per me, che ho un senso dell’orientamento deplorevole. Lui corre come un pazzo, spingendo il suo carretto in cima a salite e rampe di scalette.
Non ho idea di dove mi trovo ma, “Inshallah”, dopo qualche minuto infinito, il fattorino si ferma davanti ad una porta: là dentro c’è il mio letto. Pago, ringrazio, saluto.
Vengo accolta da Mohamed – un nome che proprio non mi aspettavo – che mi mostra la mia camera e mi augura la buonanotte. Dormo, senza avere la minima intenzione di sapere quanto.
Ore 6.00. Qualcuno urla. Oddio, cosa succede? Mi sveglio senza capire nulla. Le urla aumentano in un diesis inquietante. Forse è una sirena, non capisco, ma inizio ad avere paura dell’ignoto. Man mano che prendo coscienza e realizzo dove mi trovo, capisco che si tratta in realtà di un canto. Il canto del Muezzin della zona. Ascolto il battito del mio cuore rallentare e tornare via via normale.
A mente più o meno lucida, realizzo di trovarmi un in piccolo riad, una tipica casa araba. Tutto è estremamente colorato, tutto profuma in modo diverso. Qualcuno sta preparando la colazione. Salgo sulla terrazza attraverso una minuscola scala in muratura, bassa e strettissima – essere piccoli in questi casi è vantaggioso. Lassù trovo Mohamed intento ad aggiustare la parabola della tv. Lo saluto e mi dice che entro qualche minuto mi avrebbe servito qualcosa da mangiare.
È ancora presto ma il sole è già alto abbastanza da farsi notare. Guardo il panorama che si staglia davanti a me. Anche dall’alto, Fez è un dedalo inestricabile. Tetti, terrazze, tappeti colorati e parabole. Impossibile per me trovare un qualsiasi appiglio visivo per rendermi conto della mia posizione. Una cosa è certa, avrò bisogno di una guida. Mentre rifletto, Mohamed arriva con la mia colazione, la colazione migliore che abbia mai fatto fino ad ora, tra tutti i Paesi in cui sono stata.
Mohamed mi racconta della città e mi dice che per un buon prezzo, una guida di sua conoscenza mi avrebbe portato a visitare la città. È così che ho conosciuto Mohamed (già…) guida non ufficiale, ma che parla perfettamente italiano. Mohamed mi mostra tutti i luoghi più suggestivi e turistici di Fez. La moschea, il mercato, la pelletteria – luogo in cui ho scoperto cosa significhi trattare con un arabo – dove, dopo una estenuante trattativa, mi sono accaparrata il “souvenir” di cui vado più fiera: un bellissimo giubbotto in pelle di dromedario, tinto e trattato a mano, come da tradizione.
Mohamed mi racconta tutto della città e della storia del Paese, prendiamo un paio di taxi per spostarci da una zona all’altra e lì realizzo che in fin dei conti non possiamo lamentarci delle rotonde. Finalmente è ora di pranzo. Dopo tutti quei chilometri, finalmente ho il piacere di rifocillarmi con un tajine dal sapore e dai colori incredibili.
Fez è stata la prima delle mie tappe marocchine. Da lì sono partita a bordo di un Doblò per un viaggio di 10 giorni attraverso il Marocco. Sono arrivata a Merzouga, nel deserto, attraversando le Gole del Dades e poi fino al mare, passando da Agadir ad Essaouira, fino a Marrakech, da cui sono ripartita per l’Italia. Mancano poche lettere alla M di Marocco. Farò del mio meglio per raccontarvi il più possibile di questo meraviglioso viaggio.