Oggi, lunedì 13 novembre, è uscito in digital download e nei negozi di dischi “They can’t cage the light” (etichetta Weapons of love/distribuzione Family Affair) il primo album dei da Black Jezus, duo black/folk che nel 2014 ha catturato l’attenzione degli addetti ai lavori con l’Ep “Don’t mean a thing”, segnalato tra gli esordi più promettenti e interessanti della nuova scena indipendente nazionale. I da Black Jezus presenteranno il disco con un concerto venerdì 17 novembre allo Zo Centro Culture Contemporanee di Catania (Piazzale Chinnini, 6 – ore 21.00 – ingresso 5,00 euro), in occasione della seconda edizione della rassegna musicale Reverb.
Il nuovo lavoro di Luca Impellizzeri (testi, voce e chitarre) e Ivano Amata (chitarre, synth, xilofono e drum machine) è “un disco che sviluppa un discorso di redenzione, di rinascita, che racconta la resilienza dell’uomo di fronte alla luce, tutto attraverso una costante dialettica dicotomica di opposti: l’arcaico spiritual e l’odierno synth, la legnosa chitarra folk e la ruvida batteria trap, il buio e la luce”. L’album è stato anticipato dal videoclip del brano “Dry”, online su YouTube.
Nove tracce in cui si condensa l’anima dei da Black Jezus – duo nato nel dicembre 2012 a Troina (Enna) – fatta di campionatore, soul e folk redatti con una punteggiatura elettronica in minuscolo che amplifica la voce, particolare e intensa.
L’album si apre con la titletrack, “They can’t cage the light”, spiritual che annuncia la colonna tematica portante dell’album: la luce oltre il buio. Prosegue con “Ways”, brano in cui la chitarra roots blues si mischia agli arpeggi di synth bass, il momento più “scuro” del disco. “You made the rules” è la terza traccia tra psichedelia, folk e trap. Si passa poi al primo singolo dell’album, “Dry”, un crepuscolo electro-pop prodotto da John Lui (Aretuska). Il trip hop di “Don’t mean a thing” apre la seconda parte del disco che con “Emptiness is you”, brano fatto di basso potente e robusti fraseggi chitarristici, comincia a far intravedere toni più chiari. A seguire una ballad harperiana, “Like holy water”, un ricambio d’aria di solo voce, chitarra acustica e rifiniture di elettrica. Il disco si avvicina alla fine con “A matter of time”, ispirata al vissuto di Martin Luther King Jr, un dolce carillon dylaniano che racconta di speranza, di come il tempo sia gentile con i buoni e impietoso coi bugiardi. E “Sometimes” è il brano da gran finale e non può che essere un crescendo: rhodes sporco ma onesto, drumming obliquo ed avvolgente, chitarre slide in risposta. Un eloquente falsetto gospel a chiuder battenti: è arrivata la luce.