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No Interview – I The Bastard Sons of Dioniso sono tornati con “Cambogia”

Cambogia è il nuovo disco, uscito il 1° dicembre per Fiabamusic/Believe, dei The Bastard Sons of Dioniso, band trentina formata da Michele Vicentini, Jacopo Broseghini e Federico Sassudelli. Un lavoro che arriva dopo sei dischi, un Ep e quasi 600 concerti in giro per lo Stivale.

Già quindici anni di carriera. Ricordate ancora quel giorno in cui decideste di suonare insieme?

Sicuramente, e con quella giusta dose di nostalgia, per lo spirito adolescenziale e quella genuinità con cui si affrontava il rock’n’roll: anche se per i successivi 6 anni avremmo fatto 230 date quasi esclusivamente in Trentino, a noi sembrava di viaggiare ben oltre, oltre le frontiere del bar del nostro paese, almeno in quello di un’altra valle.

Prima del 15 agosto 2003 suonavamo in tre gruppi diversi, ma eravamo compagni all’istituto tecnico industriale di Trento. Fu Jacopo a proporci una “sbaraccata” in un piccolo maso sopra al suo paese, Baselga di Piné, dicendoci che c’era una festa.

In realtà la festa non c’era, era una scusa per suonare insieme, e provare a creare qualcosa di nostro. E il fatto che la sala prove in quel caso fosse un ex mangiatoia per le vacche, fu molto suggestivo. Uscirono i primi riff, poi dormimmo per terra, sulla terra.

La mattina seguente (o meglio, un paio di ore dopo) capimmo che ci si divertiva, e avremmo continuato, magari in una sala prove più convenzionale. E dopo 15 anni, ci stiamo ancora divertendo.

Tornando al presente, “Cambogia” rappresenta una metafora per descrivere la guerra che ognuno combatte contro se stesso, ma è anche una dedica importante…

“Cambogia” era il termine romanesco con cui Gianluca Vaccaro, nostro tecnico del suono per gli ultimi 3 album, amava descrivere scherzosamente il nostro suono graffiante e corroborante dei provini che gli mandavamo.

Con la sua prematura scomparsa, “Cambogia” è diventato un modo per ricordarlo, per portarlo con noi durante i concerti, per ricordarci di come le sfide siano sempre in agguato, e che viverle ci fa diventare grandi. Anche se la sua battaglia alla fine lo ha vinto, il suo modo coraggioso e ironico di affrontare quei momenti lo ha fatto risultare vittorioso, un esempio per tutti noi.

Avete alle spalle centinaia di concerti, praticamente una vita in tour, quanto hanno influito sulla composizione di questo disco?

È vero che abbiamo alle spalle centinaia di concerti, ormai 600 circa, ma a differenza di come romanticamente si possa pensare, noi non scriviamo in tour (almeno non durante le trasferte).

Michele si occupa principalmente dell’aspetto strumentale delle composizioni, e preferisce farlo da solo, a casa sua, dove registra i provini in autonomia e tranquillità. Solo successivamente, porta le idee in studio, e si vede cosa può funzionare e cosa invece è da buttare, e si comincia a provarle insieme.

Jacopo invece preferisce rimanere nel nostro studio quando inventa i suoi giri, comunque quasi sempre da solo.

La nostra non è una di quelle band che inventa i riff sulle improvvisazioni, ci serve invece isolamento dove poter far uscire quello che abbiamo dentro, senza filtri.

Cosa vi rende più orgogliosi del nuovo lavoro?

Questo disco ci rende orgogliosi perché anche dopo gli innumerevoli ascolti, nei pre mix, nei mix, nei mastering (che solitamente ti fanno annoiare dei brani ancor prima dell’uscita del disco) questa volta ci piace ancora, lo sentiamo sempre volentieri e ci trasmette ancora energia ed emozioni.

Inoltre a livello di scrittura, di suoni, e di testi, anche se non dovremmo essere noi a dirlo, credo che sia superiore ai lavori precedenti. Ai posteri l’ardua sentenza!

Siete uno tra i pochi gruppi usciti da X Factor che è riuscito a proseguire il proprio percorso mantenendo un’identità artistica solida e ben delineata. È stato difficile?

Siamo fra i pochi partecipanti ad X Factor ad essere arrivati già con un progetto di musica originale che, seppur acerbo, era preesistente. Non è stato difficile rinunciare ad un altro tipo di percorso, più popolare diciamo, perché eravamo consapevoli che la nostra credibilità sarebbe arrivata solamente con qualcosa di nostro. Abbiamo provato le proposte della discografica, perché non siamo così fondamentalisti da rinunciarci, ma risultava tutto troppo artefatto. Gli anni successivi non sono stati semplici, perché ovviamente il clamore mediatico scema in fretta, ma fortunatamente il nostro sound è pian piano arrivato a sempre più pubblico, superando anche le barriere dello scetticismo di quelli che si definiscono “rocker” duri e puri.

Che rapporto avete con il pubblico?

Chi viene a sentirci merita ovviamente un grande grazie da parte nostra, è il fattore principale che ci porta avanti, è il fine ultimo del nostro progetto: arrivare ed emozionare le persone.

C’è chi si fa centinaia di km in ogni occasione possibile, a volte mi chiedo se abbiano tutte le rotelle a posto, ma alla fine penso che mi fa solo davvero piacere, e trascuro quel dettaglio.

Con alcuni siamo diventati amici, si è creata quasi una famiglia, è davvero bello percepire questa sorta di fedeltà.

Domanda Nonsense: chi si addormenta per primo in furgone?

Fortunatamente Federico no, perché guida. Io (Michele) sto al suo fianco e riesco quasi sempre a stare sveglio, ma se sento gli altri chiacchierare, mi tranquillizzo e cedo. Jacopo sta dietro e, per assurdo, dorme più all’andata di giorno che al ritorno di notte. Se guida Piero, il nostro manager, non dorme nessuno perché ha una guida, usando un eufemismo, un po’ sportiva.

Intervista a cura di Cinzia Canali

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Cinzia Canali nasce a Forlì nel 1984. Dopo gli studi, si appresta a svolgere qualunque tipo di lavoro, ama scrivere e ha la casa invasa dai libri. La musica è la sua passione più grande. Gira da sempre l'Italia per seguire più live possibili, la definisce la miglior cura contro qualsiasi problema.

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