“UMBAKA è il mio cognome, un particolare suono che si ripete in un ritmo infinito, quello che mi accompagna da quando ho aperto le orecchie per la prima volta – umbakaumbakaumbakaumbaka”.
Venerdì 13 ottobre è stato pubblicato, come album, vinile e in digitale per Ponderosa Music Records, “UMBAKA”, il disco d’esordio del giovane pianista e compositore Thomas Umbaca.
Anticipato dai singoli “I’m in a carousel” e “Baile”, con i quali Thomas ha tracciato i confini del suo viaggio musicale, “UMBAKA” è tutti e di tutti. Un’esperienza catartica che si fa largo attraverso sonorità molto diverse tra loro, ma allo stesso tempo estremamente vicine, dando voce all’interiorità che ci contraddistingue in quanto esseri umani. Una giostra d’ombre e di luci in grado di trasformarsi in un rifugio accogliente per chiunque si immerga nel suo ascolto poiché racconta un’umanità che tutti conosciamo.
La “K” presente nel titolo dell’album deriva dalla convinzione che in origine, il cognome dell’artista, si scrivesse utilizzando questo simbolo fonetico: un viaggio che ci riporta agli antichi fenici per i quali la “K” simboleggiava una mano aperta. Da qui trae origine il connubio che lega le note rilasciate dal suo pianoforte con la fisicità dei corpi e delle mani che diventano il veicolo principale della sua musica. Un suono che Thomas fa riecheggiare attraverso le dita e i corpi che simbolicamente suona nella copertina del disco. In questo modo la sua musica scioglie il legame anagrafico e individuale che si lega attorno alla sua figura, diffondendosi liberamente nello spazio e nel tempo, penetrando nell’animo di ognuno di noi.
Il motore primo da cui muove il flusso creativo musicale di Thomas Umbaca è il pianoforte, strumento che lo accompagna fin dalla più tenera età e i cui suoni costituiscono il lessico familiare che gli permette di esprimere in modo naturale e spontaneo le sue visioni interiori. Attorno a un microfono e ad una loop station, voce e percussioni, convergono in un linguaggio fortemente espressivo. Musica come linfa vitale, dunque, che parla a un pubblico senza confini, che arriva in profondità, che ti prende per mano e ti trasporta in un mondo di ombre e colori. Nelle sue composizioni istinto ritmico e ispirazione melodica si alternano e si compensano, si mescolano e si separano senza soluzione di continuità. Una musica contemporanea che si nutre di presente e si apre al mondo così come lo conosciamo.
Abbiamo partecipato alla presentazione dell’album, durante la quale l’artista ha avuto modo di eseguire alcuni brani al pianoforte e di chiacchierare un po’ col pubblico in sala, approfondendo le origini della sua musica. “Jazz e classica entrano nella mia musica in maniera indiretta e non cercata. Il primo momento di creazione è l’improvvisazione, è proprio il momento in cui do la possibilità alla creatività di venire fuori. Da lì comincia un lavoro più razionale, con cui cerco di ordinare quello che ho creato. Quando si suona da soli si ha una connessione più diretta col pubblico. Abbiamo ottenuto un suono finale che era quello che avevo in testa.
Faccio fatica ad associare il mio stile a qualcosa, ci sono tante cose che vengono fuori da quello che mi capita tra le orecchie. Sono tante cose che si mischiano insieme. Non riesco a definirmi in un genere specifico, perché mi dispiace lasciare fuori qualcosa. Non intendo comunicare un linguaggio preciso, voglio che la mia sia una musica accessibile. La musica è capace di accogliere persone anche molto diverse tra loro. Mi piacerebbe che nella musica ci si lasciasse andare, senza pregiudizi. Siamo tutti un po’ dentro una giostra. C’è la tendenza a definire le emozioni, ma siamo molto più complessi di come appariamo.”
A cura di Egle Taccia