VESTA – V E S T A
Data di pubblicazione: 7 ottobre 2017
Etichetta: Argonauta Records
Pensate, fidati lettori di Nonsense Mag, che Viareggio sia soltanto vita mondana, carnevale e spiagge sabbiose? Nella cittadina marittima toscana in questione si nascondono piccole sorprese musicali. I VESTA sono tra queste.
Il trio formato da Giacomo Cerri, Sandro Marchi e Lorenzo Iannazzone propone una sagace formula post-metal strumentale. La chiave di volta dei loro brani è il susseguirsi di riff dall’ampia gamma sonora, come da anni si verifica nei territori post; tuttavia, a differenza di molti altri gruppi appartenenti allo stesso filone, i VESTA non tendono ad addentrarsi in prolisse digressioni d’atmosfera e il minutaggio dei loro brani è più contenuto rispetto a quello di altre band. Ne conseguono delle composizioni che poggiano le loro fondamenta su collage di riff adornati da soluzioni ritmiche talvolta illuminanti. Da questa pangea prendono vita dei soundscape sonori che fanno leva sull’ascoltatore.
Questi dettami stilistici trovano concretizzazione nel primo disco della band, il self-titled uscito per Argonauta Records lo scorso ottobre. In fase di mastering la band si è avvalsa dell’aiuto di James Plotkin, chitarrista e producer che ha collaborato con Isis, Sunn O))) e Sumac. In ottica generale, la produzione e il suono di ogni singolo strumento rispecchiano appieno l’estetica post: il basso è tagliente, la chitarra molto corposa e crunchy negli attimi distorti, la batteria cupa e profonda. Il full length è composto da sette brani la cui durata non supera mai i sette minuti (a meno che non si considerino le ultime due tracce – Aurora pt 1 e 2 – come un’unica composizione). Uno dei pezzi che cattura più l’attenzione è Ethereal, dove i nostri si cimentano in cambi di tempo e d’atmosfera repentini e spiazzanti: l’intro eterea sfocia in un deciso cambio di tempo che è preludio ad un susseguirsi tempestoso di riff che fanno il verso a Isis e Russian Circles. I VESTA non escludono anche vizietti stoner e sludge: l’introduzione di Nebulae è una cavalcata swingata a metà tra Mastodon e Red Fang, così come alcuni attimi della serrata opener Signal. Un ampio attimo di respiro nell’economia del disco è la terza traccia Constellation: la chitarra si fa molto più dreamy e il crescendo che esplode a metà brano è tipicamente post-rock. L’animo sensibile dei musicisti emerge in maniera decisa anche nella prima parte di Aurora, giocata interamente su un crescendo paziente e sulle trame riverberate di chitarra. La seconda parte del brano è, in termini metaforici, “la gemella cattiva”: la chitarra della prima parte viene rapidamente ammutolita da una greve linea di basso che si snoda su una ritmica diversa e il resto del brano è costruito su un’aggressività antitetica alla dolcezza della prima parte.
Tirando le somme, il disco dei VESTA è una buona prova. È arduo riuscire a non essere dispersivi su un disco post in senso ampio, ma la band, seppur con delle velleità epigone, riesce a mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore per gli interi quaranta minuti del LP. Speriamo che questa prova sia un preludio a nuovi inediti di ancor più alta pregevolezza.