Il nome dei The Bastard Sons of Dioniso farà suonare un campanellino (perdonate l’inglesismo) ai più fervidi seguaci di X-Factor. Il trio trentino ha partecipato alla seconda edizione: il talent era ancora trasmesso in chiaro, Mara Maionchi faceva faville a suon di turpiloqui e Francesco Facchinetti cerimoniava sciorinando efficaci catch-phrase una dietro l’altra. In quel contesto i TBSOD, nonostante non furono i vincitori effettivi (il premio se lo aggiudicò Matteo Beccucci), furono i vincitori morali. Broseghini, Vicentini e Sassudelli fecero breccia nel cuore di molti ascoltatori con il loro piglio rockettaro: fatto abbastanza insolito per l’ambiente talent italiano, abituato principalmente alla fabbricazione in serie di pop-star con Amici. Purtroppo, la loro fama nel circuito mainstream durò poco in più del quarto d’ora warholiano (stessa sorte toccò a Beccucci). La lontananza dalla luce dei riflettori, tuttavia, ha giovato al percorso musicale dei nostri. Ne è una prova Per Non Fermarsi Mai, LP del 2011 pubblicato dopo la rottura con la Sony, un disco ruvido che ammicca al rock d’annata, all’indie e – seppur col contagocce – allo stoner. Da quando i tre hanno iniziato a rispondere alle loro stesse esigenze, anziché a quelle del mercato di largo consumo, la qualità della loro musica è aumentata. La loro settima fatica che verrà quivi recensita, Cambogia, LP uscito nel dicembre 2017, è un’ulteriore conferma di tutto questo. Il titolo del disco è un tributo al recentemente scomparso Gianluca Vaccaro, celebre produttore e tecnico del suono.
In poco più di mezz’ora i The Bastard Sons Of Dioniso danno prova della loro eccellente tecnica strumentale, unita ad una cura sonora di pregevole fattura. L’approccio è quello grezzo e diretto che è già stato adottato nelle loro precedenti produzioni, ma, rispetto al passato, il sound è più levigato e curato, specialmente nelle parti corali. Si può applicare lo stesso discorso per l’impianto musicale. Lo sguardo retrospettivo verso il rock d’annata è simile a quello degli altri dischi, nonostante ciò questo imprinting nostalgico non risulta fastidioso all’ascolto e vi sono maggiori accortezze nella stesura degli arrangiamenti.
Sei Solo Tu, seconda traccia del disco, è dominata da riff che sprizzano energia seventies da tutti i pori. Tra gli episodi più energici del disco si può anche annoverare Lasciamo stare i convenevoli, veloce, secca e travolgente. La title track è un sapiente gioco di arpeggi, aperture melodiche e arrangiamenti corali. C’è spazio anche per l’intuizione acustica di Venti Tornanti, che ricalca le sonorità della loro precedente prova Sulla cresta dell’ombra. Il singolo che ha anticipato l’uscita del disco la scorsa estate, Non farsi domande, poggia le sue fondamenta su un susseguirsi di riff suadenti e ritornelli avvolgenti e coinvolgenti. Una delle canzoni migliori del disco è Falegname, complici il groove che induce all’headbanging e l’irresistibile ritornello in falsetto. Il brano che chiude i giochi, Benvenuto nel mio modo,è una ballata che offre aperture orchestrali grazie alle incursioni di tromba, archi e synth.
Tirando le somme, Cambogia è un disco ottimo che offre dei buoni spunti di riflessione. Innanzitutto, testimonia come si possano produrre dischi efficaci anche con un sound già largamente esplorato; ma, sopratutto testimonia come, nel mare tenebroso dei talent show, non vi siano soltanto pop-star wannabe, ma anche musicisti con attributi ed idee interessanti.