Il nostro obiettivo è quello di scoprire sempre nuove forme di comunicazione per raccontare la musica, trovando il modo fondere più arti e cercando di vedere un po’ più in là rispetto al consueto punto di osservazione, così abbiamo chiesto a Cesare Livrizzi di scrivere un racconto per noi, che raccontasse i luoghi che lo hanno ispirato nella scrittura, per conoscere meglio il suo album, da poco pubblicato, “Milano non contiene amore”. Ne è venuta fuori una storia meravigliosa che siamo onorati di pubblicare.
“I Luoghi”, di Cesare Livrizzi
Buio, sveglia, freddo.
Ho dimenticato di puntare il timer del calorifero. Mi fiondo ad accenderlo.
Di 22 metri quadrati che compongono il mio monolocale solo due, forse, compongono il bagno.
Sbatto ripetutamente contro le pareti che mi portano alla vasca, riesco a lavarmi.
6 minuti circa di acqua rovente mi riportano al mondo ma con alcune ustioni.
S’è fatto tardi, volo a prendere i mezzi.
Il tragitto che mi separa dal lavoro contempla un autobus una metro un treno e un autobus .
Penso spesso al fatto che manchi un percorso a nuoto.
Tutto questo in mezzo a una marea di gente immersa nei telefonini, nelle loro “call”.
Io capisco davvero poco di ogni cosa.
Sarei voluto restare a letto.
Arrivo, il mio capo ha passato la nottata a vedere dei grafici.
Ha 38 di febbre, ma non vuole farci caso.
Inizia la mia giornata al call center.
Non so bene fin dall’inizio quanti insulti prenderò ma mi armo di santa pazienza.
Riesco a scorgere perfettamente la lentezza dei secondi che compongono le ore del mio lavoro .
Sono 4, finalmente, pausa pranzo. Ognuno parla di lavoro. Chiedo a ognuno di loro di smetterla .
Al grido di “Libertàáá” mi dirigo verso l’uscita alle 18:30.
Milano, dopo le quotidiane schiavitù è ENORME, densa e stimolante.
Dopo un trancio di pizza pagato 4euroecinquanta in una bettola di bisceglie mi dirigo a una conferenza alla Feltrinelli di Piazza Piemonte.
Conosco Manuel Agnelli, abbiamo suonato con alcuni musicisti in comune, abbiamo conoscenze in comune.
Ci confrontiamo.
Finisce la conferenza e la chiacchiera, lo perdo di vista.
Conosco di sfuggita Roby Dell’Era, si parla e ci si ascolta.
A Milano ti confronti costantemente.
Con tutti, ma soprattutto con te stesso.
Ho la perenne sensazione di aver conosciuto il 20% della popolazione nella mia precedente vita pur essendo durata per 28 anni (ne ho 33).
La sera mi dirigo al 75 beat.
Faccio festa per l’ennesima volta con gente che mi riconosce più dai profili facebook che per una storicitá di incontri realmente avvenuti.
Probabilmente ci siamo visti, baciati, odorati, toccati.
Probabilmente ci rivedremo.
La serata si conclude con un bacio di una sconosciuta che non condivide con me neanche il nome, ma solo un forte abbraccio finale che sa di addio.
Mi racconta dei suoi costanti impegni.
Mi dice che il tempo deve essere occupato.
Pensare un attimo a quello che realmente accade potrebbe rappresentare la fine di tutto.
Meglio andare, non fermarsi.
Sono le 24, prendo la notturna.
Decine di immigrati condividono la mia fatica, ma la mia è solo presunzione.
Loro sono decisamente piu stanchi.
Milano è anche loro.
È qui che nasce il disco, in questa cittá, nelle sue schiavitù, nelle sue pressioni, nei suoi immensi interessi, in questo viavai di persone che probabilmente toccherai una volta soltanto.
Sai bene, e hai paura di questo, che non potranno cederti molto perchè poco è lo spazio che hanno per se stessi.
Spazio costantemente occupato.