Da casa mia, fino all’arena Puccini, faccio sempre il solito percorso. Passo per via Petroni e poi per Piazza Verdi, che già alle sette di sera ha quell’odore inconfondibile di piscio e spritz da quattro soldi. Proseguo per via Mascarella, La Radical, e poi finisco tutto ponte Stalingrado dove, come una pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno, mi attende il Locomotiv e l’arena. Mentre sono in fila per la birra inaugurale della serata, vedo gente che comincia a ballare e accalcarsi sotto il palco: come un tuono dopo il fulmine, sento la voce, la chitarra, il basso e la batteria di Ico e i Casi Umani fare un gran casino; sono brutti, sporchi e cattivi: sono punk, e si viene a creare uno strano ossimoro fra il loro palco sgangherato e un dolce tramonto sbiadito fra le nuvole, tramonto che si trasforma in nuvole grigie appena il palco viene liberato e in pioggia nell’istante in cui Appino, Ufo, Qqru e Pellegrini mettono piede sul palco. Ma a noi non ce ne frega niente, neanche a loro, e infatti il concerto comincia alla grandissima. C’è un’energia particolare ai concerti degli Zen Circus, unica: siamo un’accozzaglia di persone, composta di vecchi, giovani, lavoratori, studenti, toscani, musicisti e falliti, che per un’istante lungo due ore decidono di mettersi a nudo, almeno un po’, e di condividere pianti, risate, rabbia, tristezza, gioia, rassegnazione: soprattutto, scelgono di condividere la voce. Ora, potrei parlarvi della scaletta, del gommone lanciato sul pubblico, dei pianti, dei baci o degli spritz versati per terra, ma credo che un concerto non possa essere definito come la somma delle singole parti. Intensità, insieme a condivisione, sono le parole chiave fondamentali per un buon concerto, e sono due parole che il 9 giugno, dalle 21 alle 23, si respiravano nell’aria, quasi come per miracolo. Anche per tornare a casa, ho fatto sempre la stessa strada, stavolta con un fischio nelle orecchie e un peso diverso nel cuore, una sensazione che mi piace pensare mi abbia cambiato almeno un po’. Ma in fondo ho solo vent’anni e a vent’anni io ero solo uno stronzo.