Il Post Punk revival di inizio 2000 è ancora vivo e vegeto tra noi, nonostante le voci cupe e una linea ritmica rimbombante che fanno pensare subito alle tenebre e a un’atmosfera funerea.
Siamo passati da voci basse, suadenti e di stile baritonale (vedi Paul Banks degli Interpol che, diciamocelo, nel corso degli anni è migliorato tantissimo nei live), a boati ritmici che ricordano pure la Industrial (Soft Moon), a una New Wave clamorosa (Molchat Doma), fino ad arrivare all’espressione di disagio sociale che viene urlato da band tipo Viagra Boys o Fontaines D.C.
Post Punk con sprazzi di Garage e New Wave dominano ancora prepotentemente la scena “Indie” degli ultimi 22 anni, nonostante la moltitudine di band che propongono quel genere e le cui influenze sappiamo benissimo da chi, da cosa e da quale periodo derivino.
In questo venerdì 21 ottobre salgono sul palco del Covo Club di Bologna due band che eseguono tipologie completamente differenti di questo revival mai banale e con tante sfaccettature al suo interno: sto parlando dei Fearing e dei Death Bells.
Andiamo con ordine, poiché ad aprire la serata c’è proprio il trio californiano dei Fearing.
Se dovessi trovare una pecca di questa band, a parte la voglia di vivere, è la mancanza di un batterista: se già mi irrita la drum machine, immaginiamoci una base ritmica pre-registrata.
Tuttavia, quello che mi distrae notevolmente è il timbro vocale del frontman: se l’oscurità avesse una voce, la sua sarebbe perfetta; a tratti soffusa, come se fosse un’ombra, altre volte molto profonda.
Nonostante la presenza del frontman dei Joy Division tra le influenze, i riferimenti musicali dei Fearing spaziano dai Sister of Mercy ai Cure di “Pornography”.
La musica portata sul palco del Covo di Bologna da parte dei Fearing è quella di un Punk con notevoli tracce di atmosfere gotiche e spaventose, a tratti spezzate da questa voce sì buia, ma, a sprazzi, anche morbida e ovviamente decadente.
I Death Bells, invece, salgono sul palco con una line up completa: sono un duo, ma nei live si presentano in quattro e, questo, sicuramente, gioca a loro favore.
Dall’Australia al trasferimento a L.A., per poi proseguire un tour che tocca le principali città europee: i Death Bells sono in ottima forma e portano il loro “diario di viaggio” in giro ai loro spettatori.
“Between Here and Everywhere” è il terzo album in studio della band e segna un notevole distacco dai lavori precedenti: in concerto, infatti, si nota come quest’album suoni più maturo a livello di liriche, “influenzato” da quello che circonda i due artisti, Will Canning e Remy Veselis, e dal distacco culturale tra Sidney e Los Angeles.
La band non fa una piega ed esegue perfettamente ogni singola traccia presente nella setlist di questa sera: il crescendo delle chitarre sembrano pugnalate e sottolineano con enfasi la voce persuasiva, bassa e molto seducente del frontman.
Certe atmosfere degli anni ’80, così calde e vivide, entrano a far parte del (Post Punk) revival dei Death Bells: tuffarsi in questi arrangiamenti, a tratti più ostili, altre volte velati da una leggera malinconia (probabilmente per lo stile baritonale \ sfumato del cantante), è davvero piacevole e la band, nonostante la vecchia indole più ruvida, dimostra di avere uno stile audace e variopinto.
