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Davide Ferrario ci parla di casa nel suo nuovo album “Home” – Intervista

“Home” è il nuovo album di Davide Ferrario, cantante, musicista e produttore, per più di dodici anni al fianco di Franco Battiato sia in studio che dal vivo, ed oggi al fianco di Max Pezzali come direttore musicale, produttore, programmatore, chitarrista, tastierista e corista. Home è un album ricco di collaborazioni e spunti, un album elettronico che fonda le sue radici nella deep house, ma che ha al suo interno dei suoni che richiamano la natura e la vita di tutti i giorni.

Lo abbiamo incontrato per conoscere meglio il nuovo lavoro e tutto ciò che gli ruota intorno.

 

Intervista a cura di Egle Taccia

 

 

Come nasce “Home”?

 

È un disco che ho consegnato esattamente un anno fa, per cui è passato molto tempo, e lo avevo scritto negli anni precedenti, quindi c’è di mezzo tutto il periodo della pandemia, tutto il periodo in cui siamo stati tanto a casa e soprattutto un po’ quella riscoperta dell’abbandonare la città in favore di posti dove ci sono spazi diversi, dove c’è una natura diversa. L’ho molto legato al fatto che ho iniziato ad andare tanto in bici in mezzo alla natura. Per cui sì, “Home” non esprime un desiderio di andarsene, ma descrive sicuramente un ambiente che riconosco più come casa mia.

 

Cosa lo ha ispirato?

 

Lì dentro c’è tanta roba, tutti i miei ascolti storici che vanno dalle solite cose che sai già, tipo i Radiohead, i Blur, quel mondo lì, anche se chiaramente è un disco elettronico in prevalenza strumentale, per cui sicuramente non ci sono le canzoni intese nella forma canzone standard. Ci sono, poi, tutte le mie influenze di adesso che vanno da Jon Hopkins a Nils Frahm, a Christian Leffler, tutti artisti che fanno un’elettronica che non è quasi mai dance, nel senso che a me in realtà il mondo della dance interessa marginalmente. Diciamo che quando ho iniziato a fare elettronica davvero, cioè nel 2018, era il modo più rapido per poter accedere ad un’etichetta e forse a un pubblico, perché con l’elettronica pura è un po’ più complicato, per cui ho voluto dare sempre la forma della cassa in quattro e di tutti questi elementi sonori che caratterizzano la dance, però in realtà i miei ascolti di provenienza non sono quasi mai dance. Certo, è chiaro che nel disco ci sono prevalentemente tracce che hanno quell’inflessione lì, però ci sono anche un paio di episodi più ambient, c’è un pezzo più elettronico senza cassa in quattro, quello con Ivan Segreto, sto cercando di aggiustare il tiro e spostarmi un po’ più su quel genere di cose.

 

Prima dicevi che nessun brano ha una forma canzone classica. Con lo strumentale, con l’elettronica, è più facile o più difficile comunicare?

 

È una bella domanda, perché secondo me in realtà dipende molto dal linguaggio con cui siamo abituati ad esprimerci, per cui devo dire che nella mia piccola storia di autore, compositore e produttore, ho fatto un po’ tutto. Ho fatto il pop, ho fatto il “cantautore” e adesso sto facendo questa cosa dell’elettronica, che in realtà segue semplicemente una mia esigenza di comunicazione, nel senso che non è più quella di scrivere un testo con la strofa e il ritornello e cantarlo, ma usare una maggiore libertà che sicuramente la musica elettronica ti dà, perché non sei vincolato a una struttura, cioè tu sei libero di fare più o meno quello che vuoi, che è un tipo di approccio che negli ultimi anni mi rappresenta un po’ di più. A un certo punto mi sono trovato a non essere più in grado di scrivere un pezzo, una canzone pop, di suonarla col pianoforte e cantarla quindi, piuttosto che ostinarmi a fare cose che non mi venivano bene, ho detto sai che c’è, ci provo e vediamo cosa ne viene fuori e devo dire che in questa fase, dal mio punto di vista, ovviamente è più semplice, se poi parliamo di come invece lo recepisce il pubblico quello chiaramente è estremamente soggettivo. Tendo sempre a contestualizzare un po’ quello che faccio, magari anche a livello di comunicazione, per cui cerco di raccontare o con delle immagini o con dei piccoli video che vengono veicolati prevalentemente attraverso i social, cerco di far capire il contesto in cui questa roba è nata, poi chiaramente quello sta alla sensibilità di ognuno. È chiaro che se si è abituati alle canzoni pop, probabilmente si fa più fatica. Mi viene in mente questo esperimento che ho fatto quest’estate con un percussionista, abbiamo fatto sostanzialmente una performance di un’ora che si chiamava “Islands”, dove l’idea di base era di creare la colonna sonora di un videogame, che non c’è in realtà, era una roba ideale, immaginaria, per fare un unico live, che effettivamente abbiamo fatto al Festival della Musica di Portogruaro, che è un festival abbastanza importante nell’ambito della musica classica, e per spiegarla meglio abbiamo proiettato delle immagini perché la mia idea era di creare la colonna sonora di un videogame basato sulle isole, per cui c’era l’idea di girare per delle isole un po’ deserte, incontaminate, però con questa grafica un po’ 8 bit, un po’ squadrettata come fosse un videogame, usando anche delle sonorità che richiamassero quel mondo lì, per cui usavo un Game Boy per suonare varie robe e devo dire che ha funzionato molto, nel senso che in quel modo chiaramente le immagini aiutano anche l’ascoltatore meno abituato a quel genere di prodotto ad entrare un po’ più nel mondo e a capire, poi si può dire mi piace o non mi piace, questo chiaramente è materia di gusto, però in quel caso è piaciuto.

 

Per questo disco hai pensato a un tour, magari unendo dei visual?

 

Guarda, io sono molto sincero, la verità è che io non ho né un’agenzia, né un booking, né un manager, né niente. Sono da solo a fare tutto, non ho materialmente il tempo di potermi fare da agente di booking da solo, perché non ne sono capace e non è neanche il mio lavoro e soprattutto devo anche dire che un disco come il mio effettivamente in Italia non ha molta presa. Io mi rendo conto che se guardo gli ascolti su Spotify la netta prevalenza è dall’estero, perché comunque in Italia funziona molto bene se fai la Techno, la Techouse, queste robe da discoteca dove sostanzialmente la gente si sballa ed è quello che vuole fare, non gli interessa tanto di altro, invece il mio disco, che è molto melodico, molto da compositore, che parte dall’idea di fare qualcosa al pianoforte, in Italia non ha molta presa, me ne rendo conto, infatti ti dico, sono operazioni che faccio prevalentemente perché ho voglia di farle, perché mi va, non perché mi aspetti un risultato di qualche tipo, lo faccio per la passione di farlo, perché mi piace, mi diverto, ci sto bene, mi piace sedermi qui a girare le mie manopoline e a fare tutte le mie cosine, poi quello che succede succede, se per caso succede, bene, se non succede, peccato, ce ne faremo una ragione.

 

Cos’è veramente casa per te?

 

È un concetto che è cambiato molto nel tempo, perché come sai sono nato in provincia per cui sono cresciuto in un contesto di un certo tipo, di un piccolo paesino, e a un certo punto da lì sono voluto fuggire, perché quella roba lì mi stava stretta, un po’ perché avevo iniziato a fare questo lavoro con Battiato e vari altri  all’epoca, e sono fuggito perché mi sembrava che quel tipo di realtà tarpasse molto le ali a uno che fa il musicista, sono scappato e mi sono innamorato della metropoli, sono venuto qui a Milano ed ho pensato “che figata!”, mi sento al centro dell’universo e in quel momento casa per me era quella roba lì, sentirmi in un luogo dove succedeva tutto, perché sostanzialmente Milano è un po’ questo in Italia, tutto, anche le cazzate più grandi partono più o meno tutte da qui. Nel tempo questo sentimento si è modificato, un po’ perché sono cresciuto io, un po’ perché le città sono cambiate, sostanzialmente è venuto meno l’affetto che provavo per l’idea di metropoli, ma non solo per Milano, se dovessi immaginare di andare a vivere a Copenaghen comunque non mi piacerebbe, sebbene sia un posto bellissimo dove si sta benissimo, per cui per me adesso casa è una dimensione sicuramente più piccola, con dei ritmi più lenti. Sono diventato allergico alla velocità delle grandi città, ho bisogno di spazi diversi, ci metto dentro anche il fatto che avendo iniziato a fare sport, tantissimo la bicicletta, tutte cose che faccio quotidianamente ed è più semplice farle in un posto meno grande e con più natura, che un po’ mi manca nella metropoli, era qualcosa di cui prima non mi importava niente. Si cambia, si cresce, ma sicuramente ha giocato un ruolo importante il periodo del covid, perché siamo stati tutti molto costretti, io sono rimasto chiuso nel mio appartamentino qui a Milano per molto tempo e lì ho capito che quelle quattro mura, che prima erano una finestra su un mondo bellissimo, in realtà iniziano a sembrarti una prigione, per cui te ne vuoi andare ma non puoi e a quel punto appena ho potuto ho elaborato questo pensiero che poi magari cambierà di nuovo un giorno, per adesso non lo so, adesso la mia vita si divide un po’ tra qui e lì, che poi sostanzialmente è la dimensione più comoda, perché uno quando vuole va di là e quando non vuole sta qua, tutto sommato poter scegliere non è male.

 

Com’è nata la tua passione per la musica elettronica? Ti conosciamo vicino a Battiato, come cantautore e come produttore e chitarrista di Max Pezzali e all’improvviso ti scopriamo appassionato di musica elettronica…

 

Che in realtà mi è sempre piaciuta, poi non l’ho mai fatta per cui non ne ho mai parlato se non con i miei amici ovviamente. In realtà la cosa incredibile è che sono nato facendo musica elettronica. I miei primi esperimenti di scrittura avvengono nel ’92-’93 quando avevo dieci-undici anni. Ho un padre che è ingegnere elettronico ed è stato un po’ musicista per hobby, per cui a casa mia sono sempre girati un po’ di strumenti e soprattutto tanta tecnologia, tanti computer, per cui i mezzi che avevo a disposizione all’epoca erano dei computer e delle tastiere, la chitarra la suonavo, ma non era una roba che mi interessava tanto, e in quel periodo c’era una forte presenza della musica dance italiana nel mondo. Negli anni ’90 eravamo i numeri uno, ascoltavo solo quella roba lì, volevo fare quella roba lì, volevo fare il deejay, per cui avevo il giradischi, mi compravo i dischi, i vinili ce li ho ancora tutti, quindi le prime cose che ho fatto nella musica sempre da solo sono nell’ambito dell’elettronica e della dance. A un certo punto ho scoperto tutta la scena Brit Pop inglese di cui mi sono innamorato, ho ripreso in mano la chitarra e da lì ho cominciato a fare quello che mi ha portato a guadagnarmi i soldi per campare facendo questo lavoro, ma in realtà vengo più dall’elettronica e l’ho sempre ascoltata tanto, negli ultimi dieci – quindici anni della mia vita i miei ascolti sono prevalentemente quelli, non c’è quasi mai roba pop, non mi è mai interessata.

 

Come sono nate le collaborazioni dell’album?

 

Quella è una figata, a parte che sono onoratissimo perché sono tre persone che stimo tantissimo. Con Ivan Segreto, che tu conoscerai benissimo in quanto tuo conterraneo, abbiamo fatto qualcosa assieme su Battiato, su cui stiamo lavorando ancora tra l’altro, che forse vedrà la luce un giorno, per cui ci siamo un po’ riavvicinati. Ci conoscevamo da tanto, ma non c’eravamo davvero mai frequentati artisticamente. In quel contesto gli ho detto: “sai che ho una traccia strumentale che non mi convince e mi piacerebbe buttarci sopra qualcosa?” ed è venuto qua un pomeriggio, così, in maniera molto tranquilla, ed è uscita quella roba lì. Con Jack Jaselli è successa più o meno la stessa cosa, nel senso che con Jack stavamo lavorando alla produzione di qualche suo pezzo che deve ancora uscire, avevamo voglia di fare degli esperimenti e anche lui era un altro di quelli con cui c’eravamo sempre un po’ incrociati in giro ma mai davvero né parlati né conosciuti e quando ci siamo conosciuti, perché è venuto qui, ho scoperto una persona fantastica con cui ho legato tantissimo e anche un grande artista, sono stato ad un suo live per la prima volta e mi è arrivata un’energia proprio bella e gliel’ho chiesto, chiedevo sempre aspettandomi quasi un no come risposta e invece è andata diversamente, mi hanno detto tutti di sì. Con Alex Uhlmann stessa cosa, è uno che ho sempre beccato in giro per i locali, ma mai conosciuto davvero. Lui è del Lussemburgo, per cui è l’unico “straniero” del disco e infatti si sente, nel senso che ha dato davvero un taglio internazionale al brano, se senti “Falling Down” capisci che lui nella testa è in Europa, non è in Italia, e questa roba è fighissima. Gli ho mandato la base e dopo qualche settimana mi ricordo che ero in vacanza in Sardegna, mi ha mandato l’audio su Whatsapp, e mi ha detto guarda, ho fatto questa cosa qua, l’ho sentita e sono saltato dalla sedia. Tutti e tre sono artisti che stimo tantissimo, come Mike Dem, che ha fatto uno dei due remix, è un amico con cui facciamo un sacco di cose assieme, tutta gente di cui ho grande stima sia artistica che umana, che poi alla fine è quello che conta, bisogna andare d’accordo.

 

Come sono nate le bimbe di Davide Ferrario?

 

Era il primo aprile dell’anno scorso, per cui io già pensavo che fosse uno scherzo, vedo questo profilo su Instagram e dico “vabbè mi stanno prendendo per il culo, è il primo aprile, non c’è dubbio!”. Ero in tour con Max in quel periodo. Poi la ragazza che gestisce la pagina mi ha scritto e da essere una cosa che ha assolutamente un tono ironico, perché lo deve avere, perché è giusto che sia così, visto che non mi ritengo un sex symbol come scrivono loro né niente del genere, è la roba più lontana da me del mondo, in realtà è diventata una cosa molto carina e molto simpatica. Lei è stata molto brava perché è riuscita a dare un taglio che è sì ironico, ma in realtà mi danno anche una mano nel senso che lei, che poi è una ragazza sola, è più brava di me nel beccare le robe in giro su internet, fare i post, per cui in realtà è come se mi facessero da ufficio stampa senza che nessuno le retribuisca o glielo abbia chiesto e io non smetterò mai di ringraziarle perché mi chiedono sempre un sacco di cose, mi condividono, mi fanno i video, è davvero figo per cui penso assolutamente di non meritarmela sta roba, visto che non trovo in me niente di attraente da nessun punto di vista, però lei ci tiene molto e devo dire che mi ha proprio fatto un regalone, perchè è una cosa nata così per caso.

 

Visto che tu sei sempre accanto a Max Pezzali e lui ti apprezza tantissimo, ti fa sempre delle dediche pazzesche sul palco, chi meglio di te può dirci qual è il suo segreto. Non è la classica pop star, non ha le caratteristiche di altri artisti, anzi è sempre apparso come il classico ragazzo di provincia, sembra molto riservato e sostanzialmente nei brani racconta le storie dei perdenti, eppure ha un successo di pubblico enorme.

 

Forse è proprio questo il segreto, è quello che hai appena detto, lui ha descritto un certo tipo di vita di provincia, c’è solo lui che in quel periodo l’ha raccontata così, ed ha raccontato la vita del 90% dei ragazzi di quel periodo perché, se ci pensi, quando lui ti racconta che ti perdi in macchina per andare alla festa, oppure che esci con la tipa figa e tu sei un po’ sfigato, quelle cose lì le abbiamo vissute tutti, ma al millimetro, e lui ha inventato un linguaggio per raccontarle che è potentissimo ed è soprattutto una roba solo sua, non ce n’è un altro, per cui unito a questo c’è il fatto che lui è sempre stato un’antistar, è uno che non se la tira, non se la mena, non fa il figo e secondo me questa cosa al pubblico arriva tantissimo, perché lo vedi come il tuo vicino di casa e questa cosa è tangibile. Io questo lo vedo anche quando ci sono degli avvicinamenti con i fan ed è sempre un avvicinamento che non ha quel timore reverenziale come può accadere con altri cantanti che hanno un tono diverso, i fan si rapportano a lui come se fosse un amico, un conoscente simpatico, che poi è quello che è davvero tra l’altro, non ha dei lati oscuri, lui è veramente così ed è uno dei motivi per cui ci lavoro volentieri perché, come ripeto, a parte il lato artistico, che sicuramente Max incarna, sono le canzoni della mia adolescenza, c’è anche l’aspetto umano, perché quando devi lavorare con qualcuno, soprattutto se ci stai a stretto contatto per uno o più tour, è determinante che ci sia un’atmosfera bella. Lui è così, è davvero bello lavorarci, per cui credo che sia questo il suo segreto, che poi non è un segreto, è quello che è.

 

Dove potremo vederti nei prossimi mesi?

 

Nei prossimi mesi faccio gli stadi con Pezzali, c’è già il calendario fuori che a memoria non ricordo, però stiamo parlando di fine giugno e inizi di luglio, facciamo 7-8 concerti. Se salta fuori qualcos’altro ve lo farò sapere!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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