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I Hate My Village – Gibbone è un volo senza paracadute [Intervista]

Torna una delle band che più ha incuriosito ed entusiasmato pubblico e stampa: gli I Hate My Village sono infatti, senza dubbio, uno dei gruppi rivelazione degli ultimi anni. Fondata da Adriano Viterbini (BSBE) e Fabio Rondanini (Afterhours, Calibro 35) con la stretta partecipazione di Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdena), la formazione ha da poco pubblicato “Gibbone”, un nuovo EP ricco di contaminazioni, che ci porta a viaggiare con la mente e la fantasia, attraverso melodie assolutamente libere da ogni schema, che ormai sono diventate il segno distintivo della band.

I Hate My Village si sono ritrovati in studio e hanno iniziato a registrare le prove su un registratore a cassetta, riesumato direttamente dagli anni ’90. Sfruttando i limiti della banda magnetica di un supporto obsoleto e per questo avveniristico, IHMV sono riusciti a trovare in questi limiti un grande potenziale creativo e il registratore è diventato lui stesso uno strumento. Tutta la musica di queste sessioni, che ritroviamo in “Gibbone”, risente e gode allo stesso tempo di questa attitudine ‘plug & play’ che da un lato impone una iper-compressione dei suoni e una distorsione armonica maggiore, ma soprattutto, avendo a disposizione solamente 4 tracce, si è obbligati ad immortalare le proprie idee fin da subito. Impossibile rimaneggiare o modificare. Insomma, questi brani sono figli di un ‘hic et nunc’ dettato dallo strumento registratore che ci trasporta direttamente nel momento della scrittura.

Intervista ad Adriano Viterbini a cura di Egle Taccia

Iniziamo parlando del titolo. Cosa rappresenta per voi?

Il titolo dell’ep, “Gibbone”, ha molti significati. Probabilmente quello più importante è la sensazione che abbiamo spesso quando siamo in furgone e che chiamiamo gibbone, ovvero quella insofferenza rispetto alla durata del viaggio, all’essere costretti da tante ore lì dentro. Abbiamo coniato questo termine per dire “mi sta venendo il gibbone”, cioè siamo stanchi, non vediamo l’ora di arrivare in loco, vogliamo liberarci e uscire da questa gabbia. In realtà è una cosa che ci faceva ridere, spesso ci sentiamo come degli animali in gabbia dopo tante ore di viaggio, probabilmente anche per la situazione che abbiamo vissuto tutti quanti in questo ultimo anno, e adesso poter andare in tour, fare uscire della musica, è stato liberatorio, quindi era un po’ un omaggio, anche ironico, a questo tipo di sensazione. Rappresenta anche l’approccio alla musica di questo ep, orientato a togliere tutti gli orpelli e ad andare verso una realtà musicale un po’ più primitiva. Per tutte queste ragioni, ci è sembrato il titolo giusto per il nostro ep.

Come per il precedente lavoro, ho avuto la percezione che il vero obiettivo del progetto fosse quello di far compiere un viaggio musicale all’ascoltatore, arricchirlo di suoni e di suggestioni. Dove volete portarci stavolta?

In realtà da nessuna parte. Non è la meta la cosa importante ma, come hai detto tu, il viaggio. Vorremmo semplicemente celebrare quello che per noi è l’essenza della nostra musica e del nostro incontro, ossia questo grande viaggio, che poi è il viaggio di una vita. Condensata in questo progetto c’è l’esperienza di quattro persone che hanno vissuto, hanno esperienze musicali diverse, esaltanti, quindi c’è tanto. Tutta questa energia si sfoga in questo progetto che non vuole portare l’ascoltatore da nessuna parte se non a responsabilizzarlo, magari anche su un certo tipo di esperienza musicale, che non è quella classica dell’ascolto immediato, dell’ascolto semplice, ma qualcosa di più, la volontà di un’immersione musicale diversa, dalla quale trarre degli spunti e trovare altri punti di vista. Se ci potesse essere in qualche misura un obiettivo, potrebbe essere quello di destare curiosità rispetto alla musica.

Mi parli di come è stato registrato il disco e degli strumenti utilizzati?

Il disco è stato registrato in due fasi. Il primo singolo Yellowblack è stato registrato in studio di registrazione a Brescia, in modo abbastanza classico, batteria, chitarra e basso in studio e poi la voce l’ho registrata a casa per conto mio. Mentre invece il resto dell’ep è stato registrato nella mia sala, con il mio registratore a cassette della korg, in una giornata in cui abbiamo fatto una sorta di jam session, dove Marco Fasolo e Fabio Rondanini hanno fatto una performance musicale incredibile, estremamente coesi. Basso e percussioni sono stati registrati di getto, non c’era un disegno dietro, abbiamo schiacciato rec e quello che ascoltate è quello che è successo quel giorno. Nello stesso momento io puntellavo con la chitarra delle frasi, delle suggestioni che poi ho rielaborato, ho aggiunto del materiale, ho creato dei layer di atmosfera su “Gibbone”. Tutto è stato realizzato in modo lo-fi, a bassa fedeltà, perché il suono che il nastro ci ha suggerito rispecchiava completamente il nostro comfort musicale. Quello che facciamo con gli I hate my village è proprio disimparare a suonare gli strumenti che conosciamo, un po’ perché è liberatorio, un po’ perché pensiamo che quello che facciamo sia originale, quindi l’unico modo per approcciarci alla musica è quello di buttarci senza paracadute e questo ep è così, è un volo senza paracadute.

Che tipo di approccio avete utilizzato per la scrittura?

La scrittura è stata molto semplice, quasi casuale, un po’ come certa musica elettronica che si genera tramite alcuni strumenti. Per esempio, certa musica elettronica non prevede un disegno mentale prima, ma si lascia un po’ condizionare da quello che fa la macchina. Ecco, noi ci siamo messi intorno a questo registratore a cassette che ha degli effetti incorporati, che ha un suo monitor e delle casse e abbiamo cominciato a farci guidare dal suono, quindi la scrittura si è rivelata un po’ da sé, ci siamo sorpresi quando abbiamo riascoltato le tracce che abbiamo registrato, è un po’ come se si fossero suonate da sole, un po’ per caso. Quando c’è troppa premeditazione nella musica, nell’arte, probabilmente le cose vengono un po’ goffe. Nel nostro caso c’è stato un forte lavoro di visione, sapevamo quali fossero le nostre intenzioni e quello che ci piace ascoltare dalla musica e questo ha fatto sì che arrivassimo in sala preparando lo studio, preparando la performance, settando i microfoni, scegliendo quali fossero le macchine e gli strumenti da utilizzare; questo sì, questo è importantissimo, poi però la performance deve avvenire in un attimo, quasi inconsapevoli di registrare qualcosa che poi verrà pubblicato.

Il lockdown, la pandemia, hanno in qualche modo avuto un impatto su questo ep, sul modo in cui è stato scritto o registrato?

 

In realtà no, perché l’abbiamo registrato prima della pandemia.

Cosa dobbiamo aspettarci dai vostri live? Che tipo di set avete pensato per portare in giro questo nuovo lavoro?

Porteremo in giro tutta la nostra musica, perché comunque non è poi così tanta, abbiamo fatto un disco e due ep, quindi sperando che ci facciano suonare tutti i brani, porteremo tutto il nostro repertorio. Rispetto al passato, a due anni fa, dove i nostri concerti prevedevano dei momenti in cui la gente saliva sul palco, questa cosa non succederà, per ovvi motivi di sicurezza, per ovvi motivi in generale, siamo in un momento in cui il termine aggregazione non può essere preso così alla lettera, giustamente, però cercheremo un altro tipo di aggregazione, un’aggregazione più legata alla responsabilità dell’ascolto, volta a dare al pubblico un’esperienza meno scontata rispetto alla solita, ovvero la band che suona per il pubblico. Cercheremo invece una connessione, questo sarà importante, proveremo a connetterci col nostro pubblico, a stare sullo stesso piano, a non registrare le performance, a non avere quel tipo di pressione discografica o di altro tipo rispetto a quello che facciamo, all’azione musicale, e solo in questo modo, forse, qualcosa di notevole potrà succedere.

Ultimamente i progetti prevalentemente strumentali stanno riscuotendo sempre più successo. A cosa pensi sia dovuta questa maggiore attenzione per i suoni, per l’assoluta libertà di espressione?

Non sapevo che i progetti strumentali stessero ottenendo successo. Credo che si sia creata un po’ di attenzione rispetto alla musica strumentale, perché c’è un naturale bisogno di ascoltare qualcosa che non stia ad insegnare, che non stia a compiacere, ma credo che ci sia bisogno, o quantomeno ci sia una parte di pubblico che vuole musica fatta, scritta e registrata, per il puro piacere di essere stata scritta e registrata, senza altre velleità, come quelle da classifica. Sai, spesso quando si scrive una canzone, nel mondo discografico, si deve badare a tante cose, badare all’opportunità di poter essere ascoltata da tutti, di poter essere apprezzata da tutti, ecco, quando ci si svincola da questo tipo di mentalità ci si mette nella condizione di poter fare qualcosa di superiore, a volte succede a volte no, però quella è la condizione ideale per cui un essere umano si pone di fronte a un foglio bianco o a uno strumento con delle possibilità creative che possano diventare notevoli. Credo che questa cosa possa in qualche modo eccitare il pubblico.

 

Domanda Nonsense: Qual è il vostro animale guida e perché?

Sai che non ti so rispondere? Non so se c’è un animale guida. Credo che, probabilmente, noi stessi siamo un po’ animali. Come band ci ispiriamo l’uno all’altro, se ti avessi detto il gibbone sarebbe stato più semplice, ma non è così, nel senso che probabilmente siamo gli unici riferimenti che abbiamo nella musica della nostra band. Ci ispiriamo vicendevolmente e probabilmente ci facciamo guidare l’uno dall’altro. I hate my village si nutre un po’ di se stesso, come fossimo quattro animali dello stesso branco, che si fiutano, che si sono riconosciuti, come se fossimo degli animali per strada.

Le prossime date:

03 settembre – Roma Spring Attitude Festival

04 settembre – Marina di Eboli (SA) Barezzi Summer Anteprima

05 settembre – Putignano (BA) Farm Festival

06 settembre – Bologna SUNSHINE SUPERHEROES

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Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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