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Mameli – “Pensiamo di aver visto tutto, ma in realtà non abbiamo visto niente” [Intervista]

Il 2019 è stato certamente l’anno di Mameli che, grazie anche al successo riscosso durante la sua partecipazione ad “Amici”, si è fatto conoscere al grande pubblico ed ha pubblicato il suo primo ep dal titolo “Inno”.

Originario di Catania, l’artista è in piena produzione, infatti il 24 gennaio è stato pubblicato un nuovo singolo dal titolo “Non ci sei più”.

Il suo pop è ricco di spunti moderni e ben rappresenta gli affanni di questi tempi fatti di social e apparenze.

Intervista a cura di Egle Taccia

“Serata banale” parla di vuoto e distanze. Cosa lo ha ispirato?

“Serata Banale” è l’attimo prima della presa di coscienza che il mondo in realtà non è poi così banale. È una riflessione sul fatto che, probabilmente, un occhio superficiale ed un occhio poco attento può credere che il mondo sia fatto solo di mode, tendenze e di tutto ciò che le pubblicità ci fanno vedere, che sia fatto solo di quello che i social, la globalizzazione ci fanno vedere di più. Possiamo dire che, superficialmente, ci sono delle cose che ai nostri occhi emergono di più rispetto ad altre, che possono essere un marchio di scarpe, un drink, dei locali quando la sera esci, quindi “Serata Banale” è: “se devo veramente fare sempre le stesse cose, vedere sempre le stesse cose, andare sempre negli stessi posti, allora preferisco restare a casa e trascorrere una serata banale”. La soluzione, però, non è stare a casa, non è stando a casa che risolvi il problema, non è chiudendoti dentro te stesso che risolvi il problema, ma guardando in maniera più giusta quello che ti circonda, perché non è vero, il mondo è super vario, ci sono mille cose che possiamo fare, mille cose che possiamo scoprire. Probabilmente ormai siamo così tanto bombardati da informazioni che, se non ci riflettiamo un attimo, questo ci sfugge. È più o meno questo il significato del pezzo. Anche se sono mille gli stimoli, è come se andassimo a tendenze. Quest’anno le cose grosse sono state cinque o sei, l’anno prossimo saranno altre. È come se una massa scegliesse delle cose e si vivesse solo di queste. E poi ci scocciamo e pensiamo di aver visto tutto, ma in realtà non abbiamo visto niente.

Questo discorso vale anche per la musica?

Per quanto mi riguarda sì, e penso di mettermi sempre in gioco. “Serata banale” rispetto ad “Anche quando piove”, il pezzo con Alex Britti, ha un sound abbastanza diverso, non mi fa sentire statico e non mi sento di seguire delle tendenze. Sinceramente faccio abbastanza quello che mi pare e questa cosa probabilmente alla lunga mi ripagherà. Ancora è un po’ presto per dirlo, ci vogliono un po’ di canzoni per poterlo dimostrare.

Precedentemente abbiamo potuto ascoltarti in compagnia di Alex Britti nel singolo “Anche quando piove”. Ho letto che lo segui da quando eri adolescente. I suoi sono stati i tuoi primi concerti. Com’è stato conoscerlo e lavorare con lui?

È stata una delle cose più fighe che io abbia fatto finora. Sono giovane, ma lui lo ricordo quando avevo 13 o 14 anni ed ero strapazzo della sua musica, ma probabilmente questo riguarda tutta la mia generazione, perché comunque è un artista che ha fatto delle canzoni storiche ed io e tutta la mia generazione siamo cresciuti con lui. Avere la possibilità di lavorare con lui e di fare un pezzo insieme per me è stata una gioia doppia, uno perché il pezzo è venuto fuori molto carino ed ha funzionato, ma soprattutto perché per me lavorare con Alex è stato magico. Sono stato da lui, abbiamo mangiato, scritto, suonato insieme. Ho visto dal vivo come suona la chitarra ed è un mostro nel farlo. Stupendo, davvero!

Negli ultimi mesi la musica ti ha portato tanti successi e probabilmente hai realizzato il tuo sogno. Ti sei già reso conto di quello che ti è successo oppure stai ancora metabolizzando?

Probabilmente non me ne renderò conto mai. Un giorno, se mai dovesse succedere di arrivare dove voglio arrivare, probabilmente me ne renderò conto, però per adesso l’obiettivo è andare dritti, impegnarsi, farsi il culo (scusa il termine), dare il meglio di sé, perché comunque c’è veramente tanto da lavorare, non mi sento arrivato da nessuna parte, sono soddisfatto, però se dovessi dire “è questo il punto di arrivo” allora non lo sarei. Sono soddisfatto perché so di avere fatto dei metri, ma so che ci sono ancora dei chilometri da fare, quindi andiamo avanti per adesso.

Andare via da Catania è stato fondamentale per raggiungere il tuo obiettivo. C’è voluto molto coraggio, immagino, per lasciare la tua città.

Sì, un po’ sì, sia perché tutti i miei affetti e le mie amicizie nascono qui, perché sono nato e cresciuto qui, ma anche perché la città è molto evocativa. Artisticamente Catania, anche se la musica dal vivo gira e circola di meno rispetto a vent’anni fa, (non c’ero, ma me l’hanno raccontato), è molto suggestiva dal punto di vista paesaggistico, del clima e delle persone. È stata la mia prima ispirazione. Secondo me, però, arriva un momento in cui ti rendi conto che mancando l’azienda musicale, che non è la musica ma le discografiche e le cose che fanno funzionare la musica, sei un po’ con le spalle al muro e probabilmente devi fare quella scelta lì, io l’ho fatta, non ho perso Catania nel mio cuore, anzi, è ancora più bello quando torno e mi rendo conto che ho lasciato una città stupenda, ma non l’ho lasciata davvero perché ne sono ancora innamorato, e tornare è sempre bello, però la mia vita ormai è a Milano, vivo a Milano da 4 anni e probabilmente continuerò a vivere lì per un bel po’.

Qual è il tuo rapporto con la scena catanese?

Molto sano. Ho avuto il piacere di suonare con un po’ di cantautori che considero abbastanza vicini a me. Ho fatto un po’ di cose con Meli e con Cordio, in cui credo molto e considero un bravo artista e un bravo ragazzo, anche con Lorenzo Fragola ci sentiamo, ci scriviamo, abbiamo fatto un po’ di cose insieme e chissà se in futuro usciranno. Il rapporto è buono, frequento ovviamente quelli della mia età e della mia generazione e secondo me siamo un po’ in rinascita. Se penso a Catania, c’è forse un momento di vuoto che possiamo identificare in dieci anni fa e adesso a mio avviso, non mi metto in mezzo, ma credo che un po’ di artisti fighi stiano uscendo. Speriamo bene. È bello se c’è un gruppo di persone della stessa città che credono nella stessa cosa che è la musica, che poi probabilmente è l’amore, e spingono su questo.

“Inno” è il tuo ep che ha avuto molto successo. Te l’aspettavi? Cosa pensi sia arrivato al pubblico dei messaggi che contiene?

Probabilmente è arrivata la verità. È un ep che nasce come una playlist, perché comunque è un ep che viene fuori da un percorso in tv, da un talent. Non è stato pensato come ep, è stata più una playlist di pezzi, che però erano tutti accomunati dal fatto che scrivo sempre cose tratte dal vissuto quotidiano, cose veramente provate, cose reali, quindi probabilmente grazie a questo è più semplice per le persone rivedersi e condividere quelle sensazioni. Secondo me è un primo step verso la mia maturità artistica, ma adesso che sto pensando ad un disco è diverso. Quell’ep non è stato pensato, mentre un disco pensato ha delle cose in più dal punto di vista sonoro e testuale, concettualmente ti focalizzi un po’ di più su alcuni aspetti. Sono contento, è stato il mio biglietto da visita per la mia carriera, e poi c’è anche l’immagine di Catania sulla copertina, quindi ho un bel ricordo.

Cosa ti è rimasto della scuola di Amici? Cosa hai imparato lì?

Loro sono sinceramente super bravi. Io, l’ho sempre detto, non avevo mai visto Amici, perché non mi sono mai ritrovato a guardarlo e prima di farlo in realtà non credevo fossi la persona giusta per il programma, ma ripeto, non per il programma in sé, ma perché credevo che non potesse nascere del feeling tra me e Amici, però in realtà è stato bello, loro sono super in gamba. Tutte le persone che lavorano lì, da Maria ai collaboratori, agli autori e a tutti i professionisti mi hanno permesso di essere me stesso. Il grande dubbio della tv per me è sempre stato pensare chissà quanto ci fosse veramente delle persone che ci vanno e quanto invece ci fosse di tv; e invece no, io sinceramente sono stato me stesso e non è vero che ci sono trasformazioni o creazioni di personaggi. Vai lì per quello che sei e poi viene fuori quello che sei. È venuto fuori quello che sono, non mi pento di averlo fatto ed è stata una bella avventura.

Si dice che il momento più difficile di un talent è quando si spengono le luci e ci si deve confrontare con i palchi veri. Tu come lo hai vissuto il post talent?

Non vedevo l’ora, in realtà, non nel senso che non vedevo l’ora che finisse il talent perché stavo male lì, ma perché sapevo che il momento decisivo è dopo. Al talent sei in realtà super protetto dal programma, sei protetto da un mondo fantastico in cui vieni proiettato in tv e quindi hai subito fama, riconoscimenti, ecc. Invece dopo non ti caga più nessuno e devi essere tu a spingere su te stesso, a crederci e ad andare avanti. Secondo me io e il mio team abbiamo lavorato bene, perché non ci siamo fermati. Dopo due mesi dall’uscita, abbiamo pubblicato già una canzone “Latte di mandorla”, siamo andati dritti, già sono state pubblicate tre canzoni, ne usciranno altre, quindi non è stato il punto di arrivo, ma il punto di partenza.

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A Savia!

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Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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