Si chiama MICHAEL SORRISO il rapper torinese firmato da Dogozilla e Sony Music che ha di recente pubblicato “PIANOFORTI”, brano inedito che arriva dopo una serie di pubblicazioni che hanno permesso agli addetti ai lavori e alla critica di notare questo giovane talento e portarlo a collaborare con gli artisti, gli autori e i produttori più apprezzati del genere.
Il brano, prodotto da Danny Bronzini, è accompagnato da una cover realizzata dal visual artist e designer torinese WOC.
Intervista a cura di Egle Taccia
Cosa ti ha spinto a trasformarti da Lince in Michael Sorriso?
Ho fatto una sorta di rebranding. Mi sono visto dall’esterno come se fossi un brand e ho pensato che fosse il momento di cambiare. Era il primo lavoro serio con una major e avevo già in testa di cambiare nome e utilizzare il mio nome di battesimo come pseudonimo. Quindi ho colto l’occasione lavorativa al balzo per cambiare anche nome e ripartire da zero.
Che tipo di ascolti ti hanno portato verso lo stile e le sonorità che sentiamo nei tuoi brani?
I brani che sono usciti, gli ultimi, sono anche frutto del gusto personale dei produttori con cui ho lavorato e a cui mi sono affidato, si discostano anche molto l’uno dall’altro perché sono realizzati da persone diverse. A me tutto il filone Dreamville, quindi l’etichetta di J. Cole, tutto quel rap con delle sonorità che riprendono un po’ anche gli OutKast, mi piacciono molto.
“Pianoforti” racconta di un incontro fortuito col primo amore dopo molti anni. Me ne parli?
È un testo che effettivamente ha qualche anno, perché questo incontro è avvenuto diversi anni fa, quando il rapporto era già finito da tempo. Diciamo che è un po’ la visione di un incontro fortuito con il tuo grande amore a distanza di anni, vissuta con un po’ di distacco, nonostante naturalmente il ricordo susciti ancora emozioni. Quando ho scritto il testo ero più distaccato rispetto a quel momento, ma racconta comunque di un’emozione forte.
Questo tipo di incontri generalmente ci ricordano chi eravamo e in qualche modo ci portano a fare i conti con chi siamo adesso. È stato così anche per te?
Sì, assolutamente. Riprendere il testo a distanza di ulteriori anni è stato ancora diverso, perché comunque sono emozioni vecchie che ti ritrovi in qualche modo a rispolverare e a rivivere con un’altra ottica, anche scrivere di per sé è un modo per fermare certe immagini e rivederle a mente lucida. Chiaramente, quando si scrive una canzone ci si rende conto ascoltandola che col passare degli anni qualcosa è cambiato e ci sono cose che si direbbero in una maniera diversa e si rifarebbero in una maniera diversa.
“Già non studiavo, figurati se ripasso” è una frase del brano che resta impressa. Sei un tipo che non ama guardarsi indietro?
Sì, assolutamente. Anche la scelta del nuovo nome è dettata da questo. Sono uno che odia le fotografie, se vado a ricercare fotografie del passato non ne trovo, non le ho mai fatte, non so perché. Adoro la storia, ma non ho una grande affezione nei confronti del mio passato, delle cose che sono già successe, sono molto più incuriosito da quelle che possono ancora accadere.
Hai in mente di pubblicare un album nei prossimi mesi?
Sì, ci stiamo lavorando ed è praticamente pronto, stiamo solo aspettando il momento giusto per lanciarlo. Presumo che possa uscire i primi mesi dell’anno prossimo.
Domanda Nonsense: Qual è la cosa più assurda che ti è capitata a un concerto?
Probabilmente vendere il merchandising. Per diverso tempo mi sono occupato del banchetto di Willie Peyote e la prospettiva più assurda è quella di chi sta al banchetto e si gode il concerto, ma deve farsi un’ora, dopo la fine, nella quale viene assalito da migliaia di persone e deve lavorare con dei ritmi davvero forsennati. Quella è stata un’esperienza particolare. Per quanto riguarda un mio live, una volta a Belluno è saltato il generatore e mi sono trovato a concludere un concerto senza energia elettrica e per intrattenere il pubblico ho fatto cantare “Albachiara” a tutti.