Raffaele ha una personalità capace di colmare vuoti esistenziali, ma è convinto di aver subito un danno e che altrui attribuzioni l’abbiano deviato dal suo essere originario. Un senso d’angoscia lo accompagna da sempre, gli impedisce di restare ancorato al presente e, rendendogli difficile una coerente riflessione sulla propria esistenza, lo spinge a rifugiarsi nell’immaginario di quello che poteva essere.
Questa, in estrema sintesi, la trama del nuovo romanzo “ERO” di Alberto Alberci, Ed. Minerva. Raffaele, il protagonista, è un cinquantenne di oggi, immerso nel suo tempo ma nel quale non si ritrova e che non condivide per molti, troppi forse, aspetti. Un “disadattato” che per la sua storia esistenziale, per il suo trascorso non riesce a liberarsi del passato e non riesce a vivere totalmente nel presente. La vicenda si snoda in perfetto parallelismo fra passato e presente del protagonista in un costante tentativo di salvare quanto possibile salvare, recuperare quel che, a suo sentire, è possibile recuperare, rimarginare quelle ferite non ancora del tutto cicatrizzatesi. Il suo non è un passato che ritorna, quanto un presente-passato da cui Raffaele pare voglia emotivamente emanciparsi, però poi di fatto non riesce, perchè di fatto non lo vuole.
Non è un romanzo originale, non racconta una grande storia e non ci sono grandi colpi di scena a capovolgere inaspettatamente le sorti del libro. Eppure è uno di quei romanzi che da subito coinvolge, rapisce e arriva talmente dentro da viverlo in toto. Alberici in questo si conferma uno scrittore capace di creare pathos e tensione emotiva con una storia che non è altro che uno spaccato di vita quotidiana, un racconto di un realismo quasi crudele e per nulla edulcorato solo per essere più apprezzato. Nella sua scrittura si palesa esattamente quello che succede nella nuda realtà, non importa se bella o brutta, avvincente, anonima: la realtà così com’è. E questo basta.
Leggendo ERO mi sono chiesta, soprattutto inizialmente, dove volesse portarci l’autore dato che comunque la storia portante sembra non prendere quasi mai il volo. Racconti e descrizioni di scene del presente del protagonista e degli altri personaggi intorno, intersecate in altrettanti racconti del vissuto dei personaggi e, viceversa, in un’incessante intercalare che ha, malgrado le incoerenze apparenti (iniziali per il lettore) un nesso logico temporale ed emotivo. Arrivata alle ultime pagine mi è venuto da pensare che lo scopo di Alberici fosse solo quello di sbatterci in faccia l’oggettività concreta dei disagi di chi vuole ripartire dopo un trauma, di chi vuole risolvere i propri irrisolti emotivi nati, vissuti nel passato e vividi inevitabilmente nel presente. Ma farlo risulta complicato e, a parte questo, ci si chiede se effettivamente Raffaele lo desideri davvero.
L’autore snocciola emozioni, sensazioni, la trama in quel che – mi piace dire – “flusso eterno dell’esistere” da sempre contraddittorio, il suo coagulo tra il bene e il male, senza acrimonia o pregiudizio, perché l’essenziale è la continuità. Una prospettiva, la sua, acuta ed eloquio chiaro, che ci richiama al bene e al bello, e contestualmente al male e al dolore scaturito dall’insofferenza, dell’insoddisfazione per un presente che è ciò che poteva essere diverso se solo avessimo scelto di intraprendere altre direzioni, vie, avuto il coraggio di bussare a certe porte, chiuderne altre, a finire di leggere quei libri che ci piacevano. Raffaele è pienamente consapevole di se stesso e del suo essere ancora ciò che era. E questo non gli consente di trovare la pace con se stesso. E di non ritrovarsi nel presente. Non accetta la società in cui vive, non accetta e non condivide la direzione negativa che il mondo sta percorrendo in modo inesorabile verso lo sfacelo dell’essere umano.
Alberici affronta il tempo, tema importante, con percezione sua personale, propone un tempo lineare con cicli di memoria ampi quanto una fotografia, o una pennellata, che si accavallano di parola in parola, ponendo gli eventi in una sospensione breve ma intensa, come un lampo sospende per un istante il mondo, lasciando il lettore nella visione di un ricordo focalizzato in una breve e squarciante luce-ombra, perché così è la sua forza descrittiva, supportata dalla particolare capacità di ricorrere a immagini e incastri di senso fra presente-passato-presente nell’incessante riflessione che si nutre di sapori, odori, atmosfere o della realtà intuitiva del vissuto. E’ un’opera di profonda umanità natural-esistenziale, che arriva a forme di forte realismo, di attenzione alla realtà contemporanea. Da qui un’incisione critica ed etica del reale, un racconto bruciante nella dolenza e nelle rivendicazioni del presente, amaro e malinconicamente nostalgico.
La scrittura di Alberici sa leggere il mondo con emozione e insofferente disinganno, con soprassalti di umore e generosa adesione critica; il suo uno stile sempre in equilibrio che tuttavia non perde mai il ritmo incalzante e serrato che avevamo già avuto occasione di apprezzare nel precedente romanzo (Ceralacca, Ed. Minerva, 2017). In questi due testi possiamo perderci negli scioglimenti di un percorso di ricerca interiore che, attraverso riferimenti al simbolismo di un ricordo tra la sensualità e l’oscurità di un sentire mai sazio, di desideri di riscatto e risanamento, si risolve in una meditazione sulla figura dell’Uomo come indagatore, a cui però non è data conoscenza quanto un vivere istintivo talvolta in senso negativo, succube in qualche misura di se stesso e del condizionamento altrui. E, parzialmente, del libero arbitrio. Raffaele è un’anima inquieta, affaticata, ferita e dolente ma malinconicamente mai vinta. Ce lo dimostra anche nel suo rapportarsi agli affetti, alle amicizie di sempre, nelle dinamiche, complesse e non, che lo legano agli altri personaggi. Ne vien fuori un testo ricco, intenso e mai banale. Se c’è un testo ripensato, a me sembra più dato, invece, dall’immediato di emozione e di natura dell’essere; questa è la prosa narrativa dell’autore, il quale avvicina queste pagine alla vivezza del parlato, alla intenzionalità di un particolare: come nel parlato la scrittura si distende fluida ma ha anche la secchezza del giudizio, non immune da qualche variazione di tono e di lingua.
Un libro fondamentalmente introspettivo e forte, che cela di fatto messaggi, emozioni, prospettive intime e particolarmente amare, in una visione amara e realistica, che spinge ad un intimo incontro-scontro con se stessi e con il nostro essere nel mondo, nella dimensione spazio-temporale che attribuiamo alla nostra personale vicenda esistenziale la quale, probabilmente, esula da ogni dimensione che tentiamo di dare, trovare, pensare.
Laura Rapicavoli