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No Interview

No Interview – Bussando alle porte della notte con i Be Forest

A conclusione del loro ipnotico spettacolo a Catania, organizzato dagli ottimi ragazzi del MIT, che come sempre non ne sbagliano una, abbiamo incontrato Costanza Delle Rose ed Erica Terenzi dei Be Forest, per conoscere tutti i segreti del loro nuovo “Knocturne”, un colpo nella notte, che segna un viaggio all’interno di atmosfere sognanti, in una notte vista come un viaggio verso se stessi alla riscoperta del proprio io.

E proprio questo viaggio è andato in scena al Piccolo Teatro di Catania, ove il pubblico è rimasto silenzioso ed attento, mentre il ritmo, al centro della performance live dei Be Forest, ci ha condotti per mano, brano dopo brano, in un rituale quasi tribale, fatto di suoni spesso cupi e indubbiamente notturni, ove la voce si faceva strumento per portarci, attraverso la notte più oscura, verso la luce, quella dell’alba, che porta con sé nuove scoperte e importanti consapevolezze.

Un live degno di nota, per una band che da quasi dieci anni ha un posto a sé nel panorama musicale, dove si è sempre contraddistinta per l’originalità con cui si è mostrata al pubblico, mantenendo una voce unica in un ambiente musicale sempre più confuso, riuscendo a farsi apprezzare, proprio per questo, anche oltre confine. Una formazione per due terzi al femminile, che dimostra come, quando si ha qualcosa di interessante da dire, non esistano barriere di genere, anche in un mondo come quello dello shoegaze, quasi interamente dominato dagli uomini.

Intervista di Egle Taccia

“Knocturne” è il titolo del vostro nuovo album, un colpo notturno, traducendo letteralmente.

Come mai avete scelto di chiamarlo così?

Ci sono sempre piaciuti i giochi di parole. Il creatore è Nicola, è lui quello che dà i nomi alle cose, ai dischi, ai pezzi, a noi. Sì, comunque l’idea era quella di richiamare un mondo notturno in cui è difficile entrare e, quando lo fai, lo devi fare con una certa cautela, bussando alle porte della notte.

Cosa rappresenta la notte per voi?

Un sacco di cose. Il sogno, le stelle, buchi neri…tanto. Diciamo che la notte è il momento che preferisco, quando si è nel letto da soli con i propri pensieri, anche se certe volte non vorresti ascoltarli, però alla fine devi assolutamente farci i conti, quindi la notte penso sia un buon momento per riuscire a capire un po’ di cose.

È un album che è nato di notte, immagino…

È un album che è nato piano piano, ci vedevamo in sala prove… solitamente sì, facevamo le prove di notte, quindi al buio. In generale in sala prove, anche se fuori è giorno, manteniamo una situazione luci che richiama un po’ una camera notturna. L’abat – jour accesa e pochi altri elementi che permettono di farci vedere almeno i profili, il labiale e le sagome degli strumenti.

Ho letto che è un album su cui avete lavorato tanto e che non avete compreso da subito, avete dovuto affrontarlo per bene prima di pubblicarlo?

Sì, ce lo siamo costruiti man mano, con molta pazienza, su più riprese. È stato un vestito un po’ difficile da indossare, però ci siamo dentro adesso. È stato l’album più difficile, perché prima avevamo delle immagini ben precise che volevamo comunicare e che comunque erano comuni per tutti e tre, mentre per quest’ultimo è stato più complicato, nel senso che ognuno di noi aveva una visione particolare, soggettiva, e quindi ci siamo dovuti avvicinare ai nostri diversi mondi. Naturalmente siamo tre mondi a parte, però devo dire che siamo molto contenti di quello che è venuto poi, alla fine, fuori. L’abbiamo capito forse più quando abbiamo potuto riascoltarlo dopo, quindi durante le fasi di registrazione, quando le cose andavano sommandosi e siamo riusciti a trovare il punto di fuoco dove concentrarci. È stato forse il momento in cui abbiamo effettivamente capito cosa avessimo per le mani.

 Nell’approccio dei brani siete stati più protagonisti o osservatori?

Assolutamente osservatori. Il nostro approccio è sempre molto riflessivo sul modo di comporre, ci vediamo in sala prove e nessuno porta dei pezzi che ha già preparato a casa, quindi si tratta più di un vedere qual è il mood della serata, qual è il mood nostro in quel momento e poi sentire un po’ quello che il pezzo che sta uscendo sta chiedendo, sta richiedendo, e lavorare poi sull’affinamento di quella cosa lì. È un ascoltare quello che sta uscendo per capire effettivamente cosa richiede.

Siete da nove anni sulle scene e, anche se il termine è molto abusato in questo periodo, voi siete l’incarnazione dell’essere indie, del tenersi lontani da quello che va per la maggiore. Dopo tutti questi anni di carriera vi sentite ancora di appartenere a questo mondo oppure vorreste che ne nascesse uno nuovo?

Che domanda difficile. Non ci siamo sentiti mai troppo dentro né troppo fuori da quello che succede, siamo sempre stati nella linea, mai da una parte ben precisa. Penso che abbiamo il nostro di mondo, che è questo, non mi sento di appartenere particolarmente a un qualcosa di ben definito, e mi piace anche questo, il fatto di non definirci poi particolarmente in un determinato tipo di filone. Che poi, naturalmente, le persone ti mettano dalla parte shoegaze, dalla parte indie, ci sta, però sono gli altri che ti determinano. Siamo riusciti a costruire la nostra casetta sul confine, in bilico. Abbiamo allargato un po’ quella linea e ci siamo messi dentro…e ci stiamo bene!

Domanda Nonsense: Quale scenario dovrebbe avere un film horror per terrorizzarvi?

Che domanda! Penso che il buio totale sia già abbastanza, il fatto di non vedere nulla ma sentire che c’è qualcosa intorno a te, che non riesci a capire cosa sia. L’entità in sé nel buio più totale è la cosa che mi terrorizza di più, il fatto di non riuscire a capire dove possa essere e che cosa possa fare. Quindi diciamo che più che un luogo è un non luogo.

Written By

Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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