Un progetto nato da un’esigenza sia fisica che espressiva, Prove per un incendio è il titolo del primo album da solista, uscito a marzo per To lose la track, di Luca De Santis, aka Suvari.
Canzoni melodiche su basi principalmente elettroniche e synth che danno la giusta atmosfera. Come ha preso forma questo disco?
Direi che ha preso forma a strati. C’è stata una causa a tutto, ovvero un lungo periodo che ho dovuto passare a casa per colpa di una malattia, che mi aveva causato momentanei danni motori, quindi da chitarrista la musica era un po’ lontana dai miei pensieri. In quel periodo però ne è nato un approccio nuovo sfruttando il computer per suonare quello che non sapevo o non riuscivo più a fare, facendo parallelamente un percorso di musicoterapia per aiutare lo stimolo dei nervi motori.
A quel punto la musica era tornata al centro di tutto come terapia a 360° quindi ho cominciato a buttar giù bozze di canzoni di ogni tipo finché, piano piano, hanno cominciato a prendere forma suoni e parole che mi piacevano davvero, a quel punto mi è venuto in mente di trasformare tutto in un disco.
I contrasti sonori dell’album si rispecchiano anche nel titolo, “Prove per un incendio”…deduco si tratti di una scelta studiata.
Esatto. Il disco è pieno di contrasti, ad un livello generale credo di aver scritto canzoni dal suono allegro per parlare di cose tristi. Oppure basta pensare ad un brano come “Per quel che vale” che ne è un esempio perfetto. Lì ho preso il campione di una batteria hip hop anni ‘80 per montarci sopra dei synth più pop e infine coinvolgere Antonio (cantante dei LAGS) nel canto e nella scrittura di una brano assolutamente lontano da quello che è il sound della sua band.
Il titolo del disco serviva a rafforzare ancora di più tutto questo.
Ho sempre pensato che, soprattutto per un cantautore, vedere i propri brani varcare la soglia della stanza intima in cui hanno preso vita, sia una sensazione bellissima ma anche dolorosa. Per te è così?
Si, è davvero strano. È la prima volta che mi trovo a creare qualcosa da solo per poi presentarlo a degli ascoltatori dicendo “questo sono io”. Sono stato sempre abituato a suonare con altre persone, dove il confronto con gli altri parte già in sala prove.
In questo caso è stato ancora più difficile per la storia che si porta dietro questo disco. Ma forse tutto sta nel cominciare, all’inizio è difficilissimo, poi ti abitui a farlo ascoltare e ti abitui anche alle critiche ed al confronto con altre persone.
Il pubblico come ha accolto il nuovo lavoro?
Bella domanda, difficile rispondere. Vedo che il disco viene apprezzato per i suoi ritornelli ma dal vivo riusciamo a stupire con un suono più d’impatto e un approccio più divertente e spensierato, anche grazie ad Antonio e Cristiano che al momento mi seguono sul palco, sono davvero di grande aiuto nel riuscire a rendere il live piacevole.
Perché Suvari?
Trovare un nome al progetto è stato paradossalmente il momento più difficile. A canzoni finite e in fase di mixaggio non sapevo ancora come battezzare il progetto. Alla fine ho fatto un gioco scemo, ho aperto a caso il dizionario del cinema ed è uscito Suvari. Dopo pochi giorni mi sono convinto funzionasse bene, è semplice e breve.
Domanda Nonsense: la parola che ripeti più spesso nell’arco della giornata?
Non saprei, forse qualche intercalare toscano. (ahah)
Intervista a cura di Cinzia Canali