C’è la solita trepidazione tipica dei grandi eventi, al Forum di Assago, per l’unica data italiana dello “Still Not Dead Yet Tour” edizione 2019 di Phil Collins: nonostante il caldo ed una fila all’ingresso che non lascia presagire il tutto esaurito – vuoi per il fatto di aver predisposto un insolito parterre con le sedie e, soprattutto, vuoi per i prezzi non proprio popolari dell’evento – l’attesa è fremente ed il pubblico elettrizzato.
Dopo una lunga pausa professionale, legata purtroppo a problemi di salute che spesso hanno fatto temere per la fine della sua carriera, il carismatico ex leader dei Genesis ha ancora un forte appeal verso il pubblico italiano e non solo – abbiamo trovato spettatori francesi, belgi, inglesi e dell’est Europa -, che mostra ancor oggi un forte affetto nei confronti l’artista e delle sue canzoni senza tempo, capaci di lasciare un segno indelebile nella storia della musica dagli anni ’70 ai ’90. Anni di silenzio finalmente conclusi alla fine del 2016 con la pubblicazione dell’autobiografia “Still Not Dead Yet” e l’inizio dell’omonimo tour: un titolo carico di british humour con il quale il sempre simpatico Phil ha voluto far capire al mondo di avere ancora qualcosa da dire, anzi, da cantare.
Prendiamo finalmente posto, e la serata inizia alle 20:45 in modo inaspettato: dopo la spettacolare orchestra di 15 elementi destinata a supportarlo, Phil Collins fa un lento ingresso sul palco del Forum, aiutandosi con un bastone e salendo lentamente le scale sostenuto dal personale. Il pubblico inizialmente trasalisce, scoppiando subito in un applauso nei confronti di quello che non sembra più l’estroverso cantante di tante hit, ma un simpatico vecchietto vagamente intimorito dal set.
Bisogna rompere il ghiaccio e, sedutosi sullo sgabello, Phil saluta il pubblico con la sua voce inconfondibile e legge un messaggio abbozzato in italiano: dovrà cantare da seduto, si scusa tanto dell’inconveniente, ma la recente operazione alla schiena che gli ha “fottuto il piede destro” (cit.) purtroppo non gli consente di fare di più. L’imbarazzo viene così rotto fra risate ed applausi, e a questo punto non resta che iniziare facendo da subito sul serio.
Il concerto inizia con due brani epocali come “Against All Odds” e “Another Day in Paradise” che fugano ogni dubbio: la voce di Phil Collins è ancora viva, certo non con la potenza di un tempo, ma il timbro e l’intensità interpretativa sono proprio quelli per cui lo abbiamo amato nel corso degli anni e la band ed i coristi fanno un perfetto gioco di squadra, utilizzando arrangiamenti opportuni e venendo in suo soccorso quando i limiti dell’età potrebbero farsi sentire. L’ovazione e i cori di un pubblico entusiasta già da ora non lasciano tuttavia dubbi sul fatto che il live sarà un successo: la gente canta, balla, applaude e si emoziona già con due soli brani, e non smetterà di farlo fino alla fine.
Dopo l’ennesimo scroscio di applausi seguente ad un’ottima “Don’t Lose My Number”, Phil ha ormai preso confidenza con la situazione e lo sguardo, dopo la timidezza iniziale, è tornato vivace e furbo: non dev’essere facile per il cantante riuscire ad essere rilassato, stanti le difficoltà fisiche che, come possiamo vedere dai megaschermi, lo costringono ad un perenne stato di tensione e concentrazione durante il canto. A questo punto, il cantante annunzia due classici dei Genesis suscitando ulteriore entusiasmo: si tratta, ovviamente, di canzoni successive all’era prog della band, ma l’artista sceglie comunque di omaggiare il suo passato con un collage di immagini che riprende momenti felici per la band, includendo nelle immagini persino il nemico/amico Peter Gabriel. Passione ed eleganza vengono a questo punto premiate con un’ovazione che riempie tutto il Forum e si ripete dopo sole due canzoni: alla fine della divertente e coloratissima (per le animazioni anni ’80 mostrate sui pannelli) “Who Said I Would”, la band circonda Phil e parte la standing ovation con tutti gli spettatori in piedi. Forse questa non se l’aspettava il buon Phil, che visibilmente scosso e con i lucciconi agli occhi ringrazia con voce rotta e si ritrova nuovamente a dover vincere l’imbarazzo. L’occasione è quella giusta per poter presentare la band ed il figlio diciottenne Nicholas, un’autentica macchina da guerra dietro le pelli per potenza e precisione.
Il climax entra in una fase di calma, prima con la dolceamara “Separate Lives” in duetto con la corista Bridgette Bryant, poi con un divertissement fra i due percussionisti al quale Phil, che pure ha tenuto perfettamente il tempo per tutto il concerto, si unisce solo alla fine, in una piccola suite tribale con un paio di percussioni in legno, in cui gli altri due musicisti lo accompagnano coi cajon. Il tempo di ridare un po’ di brio alla serata con “Something Happened on the Way to Heaven”, un duetto con Nicholas al piano (“You Know What I Mean”, l’unico brano apprezzato dal figlio in “Face Value”… e no, è troppo tardi per dire a tutti che invece erano due) ed ecco che lo show prepara una suite finale destinata a restare indimenticabile.
Da una solenne “In the Air Tonight”, in cui Collins si sforza di cantare in piedi, all’esplosione di colori e coriandoli con “Sussudio”, l’ultima parte di questo concerto ha racchiuso sapientemente alcune delle hit del cantante più amate di sempre, eseguite meravigliosamente con l’indispensabile supporto di un’orchestra meravigliosamente divertita, in un clima sì di massima professionalità, ma anche di amorevole familiarità fra i musicisti.
Classici inchini, una breve uscita dal palco e, dopo due ore di spettacolo, la conclusione in bellezza con “Take Me Home”, fra sorrisi e commozione, con musicisti e pubblico che escono soddisfatti.
È una valutazione obiettiva quella che ci sentiamo di dare: pur con i limiti legati all’età ed alla salute, Phil Collins ha dimostrato una grande energia, professionalità ed umanità, svolgendo un concerto impeccabile ed emozionante in una piena coscienza dei propri limiti, che gli ha consentito di dare il meglio di ciò che egli è al giorno d’oggi, ovvero un uomo ed un artista in grado di superare la propria fragilità, ritrovando attraverso la musica quella forza e vitalità capaci di emozionare ancora oggi intere generazioni di appassionati.
Phil Collins può e vuole ancora dire la sua, ed è inutile pensare a come possano essere stati i suoi concerti quando godeva di piena salute, o farsi domande su quali pezzi mancassero in scaletta – per avere di più, sarebbe servito un set di almeno tre ore: quella a cui abbiamo assistito è stata un’esperienza speciale e toccante, che ci sentiamo vivamente di consigliare qualora vi fosse di nuovo l’occasione.
Setlist della serata:
- Against All Odds (Take a Look At Me Now)
- Another Day in Paradise
- Hang in Long Enough
- Don’t Lose My Number
- Throwing It All Away (Genesis)
- Follow You Follow Me (Genesis)
- I Missed Again
- Who Said I Would
- Separate Lives
- Jam alla batteria/percussioni
- Something Happened on the Way to Heaven
- You Know What I Mean
- In the Air Tonight
- You Can’t Hurry Love
- Dance Into the Light
- Invisible Touch (Genesis)
- Easy Lover
- Sussudio
- Encore – Take Me Home