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The Zen Circus: “Andate tutti affanculo” è il loro romanzo antibiografico [INTERVISTA]

“ANDATE TUTTI AFFANCULO” è il primo romanzo anti-biografico di THE ZEN CIRCUS pubblicato il 10 settembre per Mondadori ed entrato al 4º posto della classifica dei libri più venduti della settimana secondo IBS e all’8º posto delle classifiche della ‘Narrativa Italiana’ stilate da Tuttolibri (La Stampa) e Robinson (La Repubblica).

Il libro è stato scritto dalla band insieme a Marco Amerighi, autore pisano classe ’82 che con “Le nostre ore contate” (Mondadori, 2018) ha vinto il premio Bagutta Opera Prima. Il romanzo racconta le disavventure della band mentre si affanna alla ricerca della propria identità con l’aiuto della musica, riuscendo infine a trovare la strada giusta per far sentire la propria voce.

Un romanzo di formazione, scritto con l’intento di raccontare le sciagure e le difficoltà dalle quali sono nati gli Zen Circus anche a chi non li conosce o non è appassionato di musica. Un libro in cui ritrovare i propri sogni, le proprie frustrazioni e le mille difficoltà che la vita ci pone di fronte.

Intervista di Egle Taccia

In che senso “Andate tutti affanculo” è un romanzo anti-biografico?

Ufo: Abbiamo preferito usare il termine di antibiografia, perché volevamo scansare quello che è l’aspetto biografico classico, non volevamo fare il libro rock, la biografia del gruppo rock, ma fare un romanzo che potesse, in un certo senso, oggettivare la nostra storia, metterla al servizio di un fine più universale, in modo che in essa potessero riconoscersi altre persone. Con una biografia è difficile farlo; invece, trasformandola in un romanzo di formazione, è più facile che anche chi non ha interesse, chi non mastica il rock e chi non conosce gli Zen Circus, possa comunque trovarci qualcosa. Se avessimo fatto una biografia questo non sarebbe successo.

Visto che nel libro ci sono tantissimi incroci assurdi tra di voi, nelle vostre vite, volevo chiedervi se credete nel destino.

Apppino: Io no, credo che te lo costruisci il destino.

Ufo: Nel destino no, ma in un’entropia favorevole sì. Mi riferisco alla fisica, all’entropia favorevole spiegabile in termini di logica quantistica, in quel senso sì, può essere destino, ma entrano in gioco altri fattori…

A un certo punto del libro, quando Appino scopre i Nirvana, c’è una frase che dice: “Esiste un mondo segreto di losers disperati e furiosi che escono dalle tenebre dei loro stretti garage con gli occhi bassi, delle chitarre elettriche scalcinate e vestiti strappati, e salgono su un palco per mostrare fieri tutte le proprie paure e le proprie sconfitte.” Credo che questa sia la migliore definizione dell’essere alternativi mai letta prima d’ora. A chi è venuta in mente?

Ufo: Questo è un nostro pensiero condiviso, anch’io finchè non ho frequentato certi ambienti e ascoltato certa musica, nel mio caso che sono più grande mi riferisco alla musica indipendente, quella pre Nirvana e centri sociali, pensavo che per fare musica rock ci volessero dei mezzi e dei talenti enormi e irraggiungibili. Prima di andare nei centri sociali, dall’esperienza che avevo, da quello che avevo visto in televisione, pensavo a Michael Jackson e a robe enormi, cose impossibili da fare da soli. In quel senso lì, quella definizione ce la siamo creati da soli.

Quei tempi vi mancano? Avete nostalgia? C’è qualcosa che vorreste di nuovo nelle vostre vite?

Ufo: La nostalgia non ci deve mai essere, è chiaro che se avessi vent’anni sarebbe bello per altri motivi, da un punto di vista anagrafico sarebbe bello tornare indietro per essere ancora quello che può andare a fare le serate e poi la mattina può andare a lavorare senza battere ciglio, mentre adesso non mi riesce più, ma no, non rimpiango mai niente, e non cambierei mai niente. Ogni momento ha il suo godere, ogni periodo della vita, e anche ogni periodo artistico, ha la sua motivazione, quindi non tornerei indietro e non cambierei niente. Va bene così, sono contento di avere quasi cinquant’anni, non penso che mi manchi granchè, è bello lasciare ogni cosa al posto che si merita.

Soprattutto nella prima parte ci sono tantissimi riferimenti al brano “L’anima non conta”. Mi chiedevo se fosse stato più facile raccontare questi periodi della vostra vita dentro una canzone o dentro un romanzo.

Ufo: Una cosa non esclude l’altra, anzi vedo il romanzo come la continuazione della canzone con altri mezzi. Fondamentalmente no, perché se prendiamo in considerazione brani come “Vent’anni”, “Figlio di puttana”, essi nascono da un dato biografico che poi si fa dato oggettivo.  Il dato biografico è il punto di partenza per poi oggettivare e parlare un po’ a tutti. È l’estensione della cosa, quindi, è come se il romanzo fosse una canzone lunghissima, non c’è differenza.

Nel libro parlate anche di bullismo. È stato difficile raccontare questi momenti in cui la vita non era proprio semplicissima?

Fa parte del vissuto, se ne parla anche solo per dimostrare che le cose non cambiano, grosso modo; semplicemente prima rimanevano confinate all’interno della classe o dello spogliatoio, mentre adesso queste bravate di certi ragazzi finiscono su instagram o su youtube. È il modo in cui vengono conclamate che è cambiato, ma ci sono sempre stati dei problemi tra ragazzi che la pensano in modo diverso o fra quelli più esagitati e quelli un po’ meno fisici. Noi eravamo dei ragazzi un po’ meno fisici e quelli più grandi ci prendevano di mira. Penso che sia sempre andata così.

Il libro si chiude nel momento in cui il vostro sogno diventa realtà; volevate che si chiudesse quando le vostre speranze hanno incrociato la realtà?

Ufo: Non era proprio un sogno, perché leggendo ti rendi conto che eravamo buttati lì dentro nella mischia, non era proprio il sogno di raggiungere un obiettivo, l’obiettivo era di riportare a casa gli strumenti, la macchina e noi, interi. Il libro si interrompe lì perché da quel momento diventa storia un po’ più nota, comincia ad avere una routine più comprensibile, con un ufficio stampa, un management, un’etichetta vera, tutta una serie di cose che diventano quel vissero felici e contenti, che trasforma tutto in una cosa rock molto stereotipata. Non è realizzare il sogno, quindi, è che a quel punto è diventata un’attività più strutturata, non dico banale, ma meno avventurosa, interessante; invece è più importante mostrare le difficoltà, gli sbagli, gli svarioni, le inversioni a u e tutto quello che succede per arrivare a quel punto della vita.

Forse anche per lanciare un messaggio a chi ci sta provando…

Ufo: Esatto, non solo nella musica, ma in generale nella vita. Vogliamo che venga assimilato anche da chi non ha un grandissimo interesse per la musica; il messaggio non è solo quello di perseveranza nella musica, è un messaggio di perseveranza nella vita e del tentativo di cercare di costruirsi un’identità in qualsiasi campo.

Appino: Pensavamo che potesse essere una cosa universale e non solo per chi vuole sapere le nostre cose.

Ufo: Non c’è solo la musica, è un’idea di perseveranza per far sentire la propria voce, è un romanzo di formazione a tutti gli effetti, come tanti altri.

Domanda Nonsense: Se poteste tornare indietro nel tempo, quale concerto vorreste rivivere?

Appino: Io personalmente i Nirvana nel ’91 al Bloom di Mezzago.

Ufo: Molto probabilmente Jimi Hendrix. Jimi Hendrix è una cosa grossa.

Appino: Magari a Bologna, al Paladozza, con Lucio Dalla…

Ufo: …Con il palazzetto mezzo vuoto. Più che a Woodstock, a Bologna.

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Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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