Umberto Maria Giardini ha scelto il Wishlist Club come ultima tappa romana del “Dopo l’Impero Tour 2018”, lo splendido “epilogo” in trio del tour di presentazione dell’ultimo album, “Futuro Proximo”, pubblicato, come sempre, dall’ottima La Tempesta Dischi: una collezione di testi e arrangiamenti preziosi, che Umberto, “giardiniere planetario”, ha curato e amato come pochi sanno fare ancora. Canzoni come fiori, fiori come espressione dei sentimenti di questa umanità fragile che, nel 2018, non capisce più in che direzione guardare, per riconoscersi.
Ma torniamo al Wishlist e a Roma. Venerdì pioveva, poco ma in maniera fastidiosa: me ne sono accorta perchè, per entrare al concerto, ho affrontato una lunga fila all’aperto, sintomo che il cantautorato di valore può ancora farcela. Se il pubblico del Club in passato aveva accolto Umberto con attenzione e affetto, questa volta l’ha fatto con una concentrazione davvero fuori dal comune. Pochi cellulari alzati, a riprendere. Nessun brusio di sottofondo. Una calca impressionante per “questo tipo di concerti”. Impossibile passare avanti per qualche scatto sottopalco.
Umberto Maria Giardini ha interpretato una splendida selezione delle sue canzoni, dando un gentile sguardo al passato in cui si faceva chiamare ancora Moltheni e sorridendo al futuro, con “Il giorno che muore”, “Luce” e “Curami Deus” (che trovate su youtube), dal prossimo disco “Forma Mentis”, per il quale dovremo aspettare ancora un po’. Con lui, Ugo Cappadonia (membro anche del progetto “Stella Maris”, che ha debuttato il 3 febbraio a Firenze) e Marco Maracas, presenze delicate e precise, manifesto di un “suonare” che non ha bisogno di strafare, per dichiararsi.
La scaletta:
- A volte le cose vanno in una direzione opposta a quella che pensavi
- Nella mia Bocca
- Alba boreale
- Eternamente nell’illusione di te
- Il giorno che muore
- E poi…
- Discographia
- Curami Deus
- Luce
- Il trionfo dei tuoi occhi
- Anticristo
- Vita rubina
- Quasi Nirvana
- Mea Culpa
Senza la sezione ritmica, il live diventa un’esperienza emotiva ed acustica senza confini netti: il continuo scivolare delle onde sulla prospettiva bagnata dei sentimenti, un suono naturale e preciso capace di restituire organicità alla vita digitale, continuità ai vissuti che non sappiamo più legare insieme.
Umberto Maria Giardini ha una voce eccezionale e si accompagna a musicisti di valore: la sua scrittura può piacere o meno, ma ha il pregio di ricordarci che la musica d’autore, in realtà, è molto di più di quello che molti oggi ci facciano credere. E’ rigore, dedizione, semina e mietitura. Estetica.
Alla fine, litigando e sudando, sottopalco ci sono arrivata: quattro scatti buoni.
A spanne, un decimo di quelli che si sono accumulati negli occhi dei presenti durante gli 80 minuti di concerto. Pazienza, è stato comunque bellissimo.