Chiunque si occupi di concerti conosce sicuramente Rocketta Booking, una delle maggiori agenzie siciliane che si occupa di live, diventata da poco anche label. In occasione della sua nuova rassegna che sta per partire al Ma di Catania, “Spaghettismi – Musica da coltivazioni nostrane per gente della nostra pasta”, che vedrà protagonisti Pollio, Blindur e Canova, abbiamo incontrato il suo fondatore Paolo Mei.
Dopo una carriera nella musica hai deciso di fondare Rocketta. Ci racconti la storia della tua agenzia?
Rocketta è nata come mini-rassegna di 3 appuntamenti di musica dal vivo in 3 diverse città siciliane. Dal desiderio di agitare le acque nel territorio ed al contempo di poter assistere io personalmente ad alcuni concerti di musica dal vivo, è nata l’idea di creare un piccolo circuito, indispensabile per poter far sì che alcune band non siciliane potessero arrivare fin qui. Da lì il circuito si è esteso di anno in anno fino a coprire mezza Italia. Ed il passaggio da circuito ad agenzia di booking con un proprio roster è stato un processo naturale.
Ti manca il palco?
Molto. Soprattutto quando vado ai concerti o scambio quattro chiacchiere con le band prima o dopo il live. È una dimensione in cui mi son sempre trovato a mio agio. Insieme a tutto ciò che vi è annesso. Viaggiare, vedere posti nuovi, conoscere nuove persone.
Da poco hai anche fondato una label. Cosa ti ha spinto verso questa direzione?
Il pallino della label l’ho sempre avuto. Ma l’ho sempre vista come una cosa lontana, un passo da fare senza fretta e non di priorità. È stata la mia fiducia ed il mio rapporto lavorativo ed amichevole con i VeiveCura a spingermi verso questo passo. Quando i ragazzi si misero al lavoro sui nuovi brani, senza aver ascoltato neanche mezzo provino, decisi di sposare il progetto non più solo come agenzia di booking, ma con tutto me stesso.
In base a quali caratteristiche selezioni gli artisti che entreranno nel tuo roster?
Ovviamente, deve piacermi il progetto. Al di la di ciò, cerco di capire quanto possa essere io adatto a proporre l’artista. Secondo la linea con cui riesco ad essere più o meno efficace, soddisfacente per l’artista. Ci tengo molto ad un buon rapporto con l’artista e a non deludere le aspettative, sebbene il periodo che stiamo vivendo non è affatto facile. Ci sono una quantità di band ed agenzie di booking medio-piccole (Rocketta inclusa) che superano quelle delle location (o almeno, quelle più idonee alla musica dal vivo), pertanto è sempre più difficile raggiungere numeri importanti e soddisfacenti. Per questo motivo, tante volte, devo anche fare delle rinunce, seppur contro il mio gusto e la mia volontà.
Porti moltissimi concerti in Sicilia. Cosa ne pensi della scena musicale locale?
Non credo si possa ormai parlare di scena locale, da tempo. I locali dediti alla musica dal vivo, in ciascuna città siciliana, si contano sulle dita di una mano (nella migliore delle ipotesi, poiché in alcune città è quasi assente), persino a Catania, che una volta la faceva più da padrona. Al contempo, anche il numero delle band siciliane che riescono ad uscire fuori dall’Isola e fare qualcosa di rilievo nazionale non si distingue da quello di altre regioni. Ci sono artisti che negli anni si sono guadagnati un loro pubblico più di ampio respiro, come Dimartino, Colapesce, Carnesi, Pan del Diavolo, ma nessuno di questi vive più in Sicilia. O meglio, non durante quel lungo periodo di promozione dell’album. E parliamo comunque di amici che si fanno in quattro ormai da parecchi anni. Non sono certo di “primo pelo”. E ci sono poi altri artisti con una loro “fan base” crescente e di profilo meritevole, che non cito (neanche tra il mio roster) per non escludere nessuno. Così come avrebbe poco senso mettere in mezzo uno come Cesare Basile, che rappresenta una parte di Sicilia ormai da un ventennio. Ma non credo si possa parlare di scena oggi, se ci si guarda indietro, a ciò che c’è stato. Perché a mio avviso, si può parlare di scena nel momento in cui c’è un fermento che abbia soprattutto del “nuovo” e con una certa ciclicità.
Portare concerti al sud è sempre una questione complessa. Che strategie dovrebbero essere intraprese per promuovere i live in Sicilia e nel sud Italia?
Portarli al Sud è sempre complesso. Per ovvie problematiche geografiche e quindi economiche. A ciò si aggiunge anche un modo di vivere la musica diverso. Nel senso che alcuni feedback che un artista può ricevere da Roma in su sono assai diversi da quelli che si riscontrano poi al Sud. È sempre tutto molto imprevedibile. In merito alla promozione, beh, lì non c’è Nord o Sud, c’è solo il farlo bene o il farlo male, con insufficienza. Spesso, con i concerti più piccoli, i locali lamentano l’affluenza di pubblico, ma allo stesso tempo si affidano per la promozione solo ai social e creano il classico evento Facebook il giorno prima.
Stai per partire con una nuova rassegna, “Spaghettissimi – Musica da coltivazioni nostrane”. Ce la presenti?
È nata per gioco e dal fatto che stavo già lavorando ai mini-tour al Sud di 3 band italiane, che cantano in italiano (Pollio, Blindur e Canova). Quindi più distanti da ciò che faccio arrivare generalmente al Sud (ad eccezione dei nomi più rilevanti), poiché per l’80% si tratta solitamente di artisti internazionali e che in molte città rientrano in una sorta di rassegna itinerante. In questo caso avevo davanti 3 band promettenti e 100% italiane, nel genere e nel linguaggio. Da lì l’idea di abbinarla ad un format base che avevamo già sperimentato in qualche occasione io ed il mio compagno di bancone Renato Mancini, con cui ci prendevamo poco sul serio mettendo su dei dj set non necessariamente da ballo, in cui mischiare classici italiani tra gli anni ’60 ed ’80 con cose meno “convenzionali” che andassero dai My Awesome Mixtape ai The Record’s o Iosonouncane, giusto per citarne qualcuno.
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Intervista a cura di Egle Taccia