Palestra Visconti, Milano, martedì 14 novembre. Al circolo Arci di Via Bellezza, in una Milano sud fredda e buia, Alberto Bianco, in arte Bianco, presenta il suo sesto album: “Certo che sto bene”, 10 canzoni, tutte registrate a Formentera, nella casa di una vecchia fidanzata, e tutte registrate insieme a una serie di amici, alcuni dei quali sono accanto a lui, sul palco, in questo martedì di metà novembre. Tra gli altri, Dente, fotografo d’eccezione; in questa veste – e non solo – ha accompagnato Bianco nella realizzazione del disco. Le foto, distribuite sotto forma di cartoline ai presenti, sono le stesse del documentario che racconta i giorni spagnoli fatti di arte e di musica, diretto da Francesco Coppola e proiettato subito prima del talk che vede protagonista anche Federico Dragogna.
Lo stile di Bianco si è evoluto e nel corso di sei lavori artistici intensi e sinceri ha cambiato linguaggio e ha scelto di narrare storie diverse – o, forse, le storie sono sempre le stesse; è la prospettiva a modificarsi, man mano che la vita passa e se ne va. In “Certo che sto bene” c’è tutto quello che una frase di questo tipo, lasciata uscire dalla bocca con nonchalance e un senso strano di timidezza, nasconde: il dolore, i dubbi, il peso del tempo, la percezione che si ha di se stessi e che, alla fine, spaventa più di ogni altra cosa. È una maturità personale, prima che musicale, quella di Alberto, che si evince dai testi che non potrebbero mai essere casuali, insensati, fatti per gli altri. Come sostiene Margherita Vicario, intervistata nel documentario di Coppola e autrice, insieme all’artista, de “Il tempo del mare”, Bianco scrive la sua verità – e chi se ne frega del resto.
L’incontro breve che segue il documentario al circolo Arci Bellezza vede Bianco, Dente e Dragogna impegnati in una chiacchierata tra amici. Si discute con leggerezza della presenza dei genitori di Alberto durante la registrazione del disco e di quanto questo sia un disco “fatto all’antica” e pieno di imperfezioni tecniche, che, però, lo rendono migliore che se fosse stato realizzato dentro uno studio torinese o, magari, dall’intelligenza artificiale. Perché quello che fa di “Certo che sto bene” un’opera musicale che arriva dritta dove vuole arrivare è il fatto che sia stato fatto insieme. Chi ha contribuito alla sua buona riuscita, ha mangiato e dormito e bevuto e vissuto negli stessi spazi fino a quando è stato necessario, ridendo, dibattendo, confrontandosi e suonando tantissimo. Si tratta, in fin dei conti, di un lavoro collettivo, sebbene parli di Bianco probabilmente più di altre sue canzoni del passato.
La conclusione è che le macchine non sarebbero in grado di replicare una magia del genere, perché la musica è ben altro. La musica è tutto, “la musica” – dice Taketo Gohara, produttore dell’album – “ti fa restare innocente”.
