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Emanuele Dabbono – “Buona strada” è un occhiolino complice [Intervista]

È disponibile da venerdì 21 ottobre “BUONA STRADA”, il nuovo album di inediti di EMANUELE DABBONO, autore, cantautore e polistrumentista genovese. Il disco prodotto da Tiziano Ferro, pubblicato dalla TZN e distribuito da Universal Music è disponibile in tutti gli store digitali.

“BUONA STRADA” è il frutto di due anni di scrittura. Inizialmente, molti dei brani presenti nel disco dovevano essere cantati da altri artisti, poi però a distanza di tre anni dal suo ultimo progetto discografico “LEONESSE”, Emanuele decide di tenerli per sé, pubblicando così 16 brani inediti e dimostrando la sua incredibile versatilità.

 

Intervista a cura di Egle Taccia

 

È appena uscito il tuo nuovo album “Buona Strada”. Come mai hai scelto di chiamarlo così e dove porta questa buona strada?

 

Più che un augurio, BUONA STRADA è un occhiolino complice, un incitamento, una pacca sulla spalla per non arrendersi. Porta dove abbiamo il coraggio di andare, fosse anche da soli. Perché di strada personale si parla, non di gregge o moda da seguire. L’importante non è fermarsi, che il panorama va goduto, è scegliere la direzione propria.

 

L’album è prodotto da Tiziano Ferro, con cui hai scritto i grandi successi “Incanto” e “Il conforto”. Come ti trovi a lavorare con lui? Che tipo di lavoro ha fatto su questo album?

 

Abbiamo in comune la sensibilità, l’empatia e uno spiccato senso del lavoro. Sono ormai 9 anni che ci confrontiamo su parole e musica per trovare una dimensione di verità e onestà, per noi qualità imprescindibili della comunicazione. La sua decisione di produrre l’album è stata per me una vera consacrazione. Si è parlato di arrangiamenti vocali, tonalità, scelta brani ma tutto nel totale rispetto dell’identità musicale e con una libertà intellettuale senza precedenti, perché non c’era alcuna pressione di rincorrere nessuno.

 

 

Molti dei brani di questo disco dovevano essere cantati da altri artisti, cosa ti ha spinto a volerli tenere per te?

 

A volte gli artisti prendono una linea e una direzione per un album che magari non si sposa con un brano, seppur forte, che però aveva tutt’altri riferimenti e mood. Quando si è trattato di compilare le canzoni per il mio, la scelta è caduta su diverse tra quelle che pensavamo forti e che nella mia voce suonavano comunque credibili, penso a IL MIO CUORE MIGLIORE, per esempio.

 

C’è un concept che lega i brani del disco?

 

Sì, il rispetto per le mie radici, la famiglia, i piccoli dettagli nelle relazioni che descrivono fedelmente macrocosmi come amicizia e amore.

 

Qual è il tuo rapporto col calcio, di cui ci parli in “Cerezo”?

 

Cerezo è un brano che utilizza il calcio come cornice, ma non è il focus della canzone. Il brano è una lettera a mio padre. Racconta di incomunicabilità e muri. Di parlarsi quando è il momento senza sprecare occasioni. La Sampdoria mi ha invitato a cantarlo allo stadio prima della partita di serie A contro la Roma lunedì scorso e mi sono trovato 30.000 persone ad accogliermi come fossi uno di loro. O forse perché sono proprio uno di loro.

 

Quanto la pandemia e l’isolamento a cui siamo stati sottoposti in questi anni hanno inciso su questo disco e sul viaggio che hai intrapreso dentro te stesso?

 

La solitudine è condizione necessaria per chi scrive, quasi quanto il dolore, per dirla in modo letterario. La pandemia credo abbia fatto riflettere anche i più superficiali sul proprio ruolo nel mondo.

Personalmente mi sono chiesto se avesse ancora senso mettermi dietro a un microfono. “Cerezo” è stata la risposta. Mi sono detto: tanto vale dire tutta la verità senza fronzoli e raccontare la mia storia.

 

Sei di Genova e sei un cantautore, senti un po’ la pressione dello storico passato musicale della tua città?

 

È pressione arteriosa. Ce l’hai nelle vene e salta fuori sempre e ovunque ti trovi, ma non è un peso o una responsabilità. Se mai è un corredo meraviglioso per imbandire una tavola coi propri pezzi. Alcuni sono buoni.

 

Come descriveresti le sonorità di questo album?

 

Reali. È tutto suonato. Non ci sono campionamenti o elettronica, perché io e la mia band sentivamo il bisogno di far uscire tutto dalle dita. Ci sono dentro un sacco di influenze: dal Soul di “Cattedrali”, al Rock di “Campo di battaglia” al Gospel dell’intro, persino un brano che si ispira alla musica sudafricana, INSEGNAMI.

 

Sei contento del risultato finale o cambieresti qualcosa?

 

Ho scelto, pensato e arrangiato ogni nota che sentite. Io non cambierei nulla. Vediamo tra qualche anno.

 

Domanda Nonsense: Portiere o attaccante?

 

Giocavo col numero 11, ala sinistra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Written By

Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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