I Calibro 35 hanno da poco pubblicato “Decade”, l’album che celebra i 10 anni di carriera della band con 11 brani originali, arrangiati in modo da ripercorrere la loro storia.
Abbiamo incontrato Luca Cavina per conoscere meglio l’album.
Decade può considerarsi un album in cui fate il punto della vostra carriera, un album di bilanci?
Sì, l’idea era precisamente questa. Da un lato era un disco per dirci “ok, dove siamo arrivati?”, una sorta di disco autocelebrativo, nel senso di “festeggiamo i dieci anni”, non nel senso “quanto siamo bravi”. L’idea iniziale, che dopo non ci convinceva più, era di coverizzarci, cioè di fare un discone doppio in cui facevamo dei brani nostri, magari riarrangiati in altra maniera, ma (si possono dire le parolacce?) dopo un po’ c’era sembrata un’idea un po’ del cazzo, e in realtà abbiamo trovato più interessante fare una sorta di meta storia dei Calibro in cui abbiamo scritto dei brani originali, che hanno tutti alcune delle caratteristiche che hanno rappresentato i Calibro nel corso degli anni, allo stesso tempo aggiornate in qualche modo al presente. Infatti, tutto il disco è giocato sulla commistione di elementi di passato e futuro ed è il motivo per cui abbiamo scelto l’architettura radicale come riferimento per i titoli e per la grafica di questo disco. In qualche modo siamo noi che siamo partiti coverizzando dei classici e delle colonne sonore degli anni ’70, però in qualche modo facendoli in una maniera più moderna, e dopo abbiamo ripercorso quello che abbiamo fatto, rimettendolo in una prospettiva nuovamente contemporanea. Per questo è molto meta come disco.
Nel precedente lavoro ci avete portati nello spazio, qual è invece la scenografia perfetta per fare da sfondo a Decade?
Non so se c’è una scenografia perfetta. Abbiamo scelto l’architettura radicale come riferimento di immagini e titoli per questo disco, proprio perché in comune con quell’architettura c’è proprio il legame tra il passatismo e il futurismo, mescolati insieme, e anche, più in generale, l’idea architettonica, perché questi brani di Decade, rispetto alle cose che avevamo fatto prima con i Calibro, sono molto più architettati, c’è molta più architettura nell’arrangiamento, tant’è che infatti, anche per il poco tempo che avevamo a disposizione, dato che un’altra delle cose che volevamo fare nel disco era avere un ensemble orchestrale, i brani sono stati scritti precedentemente, cioè ognuno di noi si è messo lì, ha scritto il proprio brano, scrivendo gli arrangiamenti, scrivendo le parti per gli archi, per questo, per Tizio, per Caio, e questo ha fatto sì che sul pezzo ci fosse più un’idea di progettazione; diversamente da altri dischi dove ci trovavamo in studio per cinque giorni e molte idee nascevano lì jammando insieme, qui il procedimento compositivo è stato più progettualizzato.
Quali strumenti avete utilizzato per questo album?
Abbiamo utilizzato una sezione d’archi, quindi violoncello e violino; abbiamo utilizzato trombone, tromba, sax baritono, vibrafono; sono stati usati molti synth, qui però purtroppo la mia conoscenza si ferma e non ti so dire tutte le tipologie o i modelli o quelle cose da espertone. Sicuramente abbiamo utilizzato un dispiego di mezzi e arrangiamenti e strumenti molto più in questo disco che negli altri dei Calibro.
La musica moderna è ormai dominata dalle parole, penso a generi come il rap o la trap che stanno al centro della scena. Voi invece avete scelto di far parlare la musica, lasciando al pubblico la libera interpretazione. Quanto è importante riscoprire la melodia in questo momento storico/culturale?
Non ti so dire se è importante in questo periodo storico, diciamo che mi piace la musica strumentale in generale, piuttosto che dire delle cazzate con la voce, preferisco non dire niente. Il ragionamento vale anche con la musica, nel momento in cui fai musica strumentale e dici delle cazzate musicalmente, però sicuramente la musica strumentale è la cosa che viene più naturale a noi come Calibro in quanto persone e personalità, nel senso che, in fondo, i gruppi che ho, o che ho avuto, in gran parte sono sempre stati o sono strumentali, Fabio ha fatto una colonna sonora per uno sceneggiato di Guzzanti, Enrico ha sempre curato molto più la parte di arrangiamento, soprattutto adesso, da quando ha ripreso il conservatorio, sta facendo un sacco di composizioni sue, originali, strumentali, dove non è previsto il cantato. Noi non lo facciamo per un motivo storico, diciamo che ci piace molto questo tipo di musica e non siamo troppo fan di quei generi che hai citato.
Come riuscite a far combaciare i vostri importanti impegni paralleli col progetto Calibro 35? Immagino che non dev’essere semplice incontrarvi e lavorare insieme…
È stato molto difficile infatti. Avevamo solo 5 giorni per far tutto a livello di registrazione. Per il mixaggio abbiamo avuto più tempo, anche perché lo curava Tommy (Tommaso Colliva). È stato fare tipo dodici pezzi in 5 giorni, abbiamo utilizzato tutti quei giorni in maniera piena per avere il disco finito.
Domanda Nonsense: In un poliziesco degli anni ’70 che ruolo ricoprirebbero i Calibro 35?
Non te lo so neanche dire. In realtà dopo tanti anni, anche se siamo partiti da lì, abbiamo scoperto di non essere particolarmente fan di quel tipo di film, quindi mi verrebbe quasi da dire che all’interno di un poliziesco anni ’70 io mi vedrei magari più come operatore di ripresa o come quello che regge il microfono mentre girano le scene o come quello che porta il catering, ma eviterei di comparire nel film come attore.
Intervista a cura di Egle Taccia