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Enrico Gabrielli

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“Le Canzonine” di Enrico Gabrielli hanno fatto tornare tutti bambini [Intervista]

Enrico Gabrielli si definisce come un “musicista che ha fatto un po’ di cose”: queste “cose” – e senza citarle tutte – sono aver fondato gruppi come Mariposa, Calibro 35, The Winstons e l’etichetta 19’40’, suonato con Afterhours, Mike Patton e PJ Harvey, arrangiato canzoni di Iggy Pop, composto musica contemporanea, colonne sonore per film e pubblicato un libro di racconti.

L’unica cosa che non aveva ancora fatto nella sua ormai più che ventennale carriera era incidere un disco a suo nome. E ovviamente il suo “esordio” non poteva essere un disco qualunque.
Il primo disco di Enrico Gabrielli si chiama infatti “Le Canzonine” ed è un disco per bambini come si faceva una volta ai tempi di Sergio Endrigo, Gianni Rodari, Virgilio Savona, Vinicius De Moraes o Anne Sylvestre, nato inizialmente come gioco per intrattenere i suoi figli e sviluppatosi durante la chiusura forzata in casa nei mesi di pandemia.

Un disco di canzoni scritte da un papà per i propri bambini che ha coinvolto un manipolo di altri papà cantanti.
“Le Canzonine” sono una raccolta di diciotto canzoni scritte, composte e arrangiate integralmente da Enrico, ad eccezione di una rielaborazione di “Berceuse pour rêver” di Anne Sylvestre e una manipolazione di “Tele-dramma” di Gianni Rodari, due dei riferimenti principali di Enrico quando ha cominciato a immaginare tutto questo, ancora prima di pensare che potesse diventare un disco vero e proprio.

A partire dal dicembre 2021 quelle canzoni nate per giocare con i suoi figli Agata e Martino son diventate “Le Canzonine” vere e proprie, registrate negli studi Fonoprint di Bologna da Giacomo Fiorenza insieme a Valerio “Pecori Greg” Canè al basso, Alessandro Trabace al violino e Marco Santoro al fagotto. A loro si sono aggiunti Sebastiano De Gennaro alle percussioni, Alessandro Grazian alle corde, Fabio Rondanini alla batteria e percussioni e il Piccolo Coro Angelico di Bologna, diretto da Giovanna Giovannini.

E poi ci sono i papà che, con curiosità ed entusiasmo, hanno dato un ulteriore colore con la loro voce a queste canzoni così inusuali rispetto a come siamo abituati a sentirli, come Alessandro Fiori, Andrea Laszlo De Simone, Brunori Sas, I Cani, Cosmo, Dimartino, Francesco Bianconi, Giacomo Laser, Giovanni Truppi e Roberto Dell’Era.

In questo disco non ci sono madri e anche se messa giù così può sembrare un rigurgito patriarcale, in realtà è il suo esatto contrario: nel nostro Paese sembra che la genitorialità sia solo responsabilità delle donne, sulla maternità esiste una pressione sociale gigantesca, delle aspettative. L’uomo lavora mentre la donna cresce i figli. E la donna che non fa figli non può essere considerata una donna realizzata. Stronzate.

In “Le Canzonine” sono i padri a rivendicare il loro ruolo di genitori e a togliere un po’ di peso dalle madri. La parità passa anche per il decadimento di certi ruoli pre-costituiti.
“Le Canzonine” è una dedica per tutte quelle persone che vivono il proprio essere genitori lontani dai vincoli e dagli stereotipi, anche quelli più etero-normati.

E comunque se ci sono delle mamme musiciste che vogliono fare un disco per bambini, e anche delle non mamme che hanno la stessa curiosità per questo tipo di scrittura, ben vengano. Anzi, tocca a loro adesso!”

Intervista a cura di Egle Taccia

 

“Le canzonine” è il tuo album d’esordio solista appena pubblicato. Un disco di musica per bambini. Com’è nata l’idea e cosa ha ispirato l’album?

 

L’idea è nata dalla restrizione. Come spesso accade le idee migliori nascono nelle restrizioni, nel senso che quando si diventa papà o mamma, si restringe tantissimo il campo sociale, per cui tutto diventa più piccolo, il fulcro diventa la casa, la famiglia, non è più il mondo esterno nel senso tipico del termine. A ciò aggiungiamo che ci sono stati anni pandemici in cui questa cosa si è ulteriormente amplificata e che la dimensione dei bimbi in genere è più piccola, più piccola in senso molto alto, molto ideale, perché il piccolo dei bambini è enorme. Con questa restrizione di movimento si è amplificata la parte creativa e coi bambini sono venute fuori queste canzoni. Prima c’era solo la bimba grande che si chiama Agata, poi è nato anche Martino, e in un arco di qualche anno ho messo in piedi un corpo sostanzioso, perché a parte un paio che non sono mie, oltre a queste 18 canzoni del disco, in realtà ne ho anche altre che precedono la lavorazione di questo album, per cui cominciavo ad avere una buona quantità di materiale, poi da lì il passo è stato breve per fare un disco.

 

So che i tuoi riferimenti per questo lavoro sono stati Sergio Endrigo e Gianni Rodari. Quale caratteristica di questi due giganti hai voluto far tua in questo lavoro?

 

La sostanza e la narrazione. Endrigo è un cantante di grande sostanza, la sua voce è molto emotiva, fa una nota ed è potente, non è una roba tipica per le canzoni per bambini che si pensa che siano tutte cose semplici, le vocine stupide, magari alte. Endrigo era quasi un cantante lirico a modo suo, era una persona di grandissima profondità e molto maturo, molto grande, molto adulto. Questo è il contrasto che mi ha sempre affascinato, un signore molto molto adulto che parla ai bambini, questo è stato il primo approccio che ho cercato di avere io. L’altro, Rodari, è la storia, la narrazione, c’è sempre una storia quando parla lui, quando scrive lui. Non è che si parla di una frittella, che la frittella salta in padella e fine. Non sono claim, non sono spot e slogan, come ci hanno tristemente abituato nel mondo del digitale recente, per cui tu fai le cose per bambini pensando che siano cose che servano per farli ballare, per ipnotizzarli o per farli star buoni al ristorante. Questo è un gigantesco, immenso errore di valutazione che è stato fatto negli ultimi vent’anni rispetto a quello che è l’immaginario musicale dell’infanzia. Ai tempi di Rodari, di Endrigo, le canzoni erano delle grandi canzoni per piccoli e ho cercato un po’, nelle mie limitazioni, di fare una grande canzone per piccoli.

 

Questo disco è nato durante la pandemia per intrattenere i tuoi bimbi. In quel momento spaventoso hai sentito il bisogno di ritornare un po’ bambino anche tu e di aggrapparti all’infanzia per non pensare all’orrore che c’era fuori?

 

Era inevitabile, ero bloccato qua e c’erano anche i miei nipoti, per cui avevo tre bambini ai tempi. Mia moglie continuava a lavorare, mentre io da musicista ho smesso. Per cui sì, regredisci, in realtà sono diventato papà di professione, che poi in realtà è quasi un mestiere che oggi si affida ai maestri d’asilo. Stando così tanto a casa coi bimbi, che avevano bisogno di vivere normalmente la propria vita pur stando sempre a casa, che per loro è stata una specie di gabbia, si regredisce, ci si trasforma, si uniscono tante cose e la parte del papà diventa quella dell’insegnante d’asilo, dell’involontario carceriere. I bambini andavano aiutati a non vedere le brutture complessive della faccenda. Una cosa che comunque ho percepito molto forte è stata anche la potenziale fine della mia professione che è stato qualcosa che mi ha segnato per tanto tempo. Mi sto riprendendo piano piano adesso.

 

Alla tua idea hanno aderito tanti artisti e ne è venuto fuori un album di collaborazioni eccezionali che ci permette di ascoltare tante voci note in una chiave completamente diversa. Ci racconti come hanno reagito alla tua idea e in che modo li hai coinvolti?

 

A parte qualcuno più timido nel dichiarare di essere papà al mondo, tutti quanti hanno reagito con semplicità dicendo “certo, lo faccio” e l’hanno fatto, senza pensarci troppo, probabilmente perché io non sono uno scrittore di canzoni, non sono una persona sulla bocca di tutti per cose che non c’entrano niente con la musica, sono molto musicista, per cui secondo me l’hanno fatto perché si tratta di qualcosa che viene da una persona che non rappresenta il male, sono stato anche spesso session man per molti di loro, per cui sono rimasto sempre in famiglia, in qualche maniera. Per qualcuno è stata la prima esperienza, Niccolò Contessa e Andrea Laszlo non hanno quasi mai accettato guests altrove, però questa l’hanno fatta proprio perché probabilmente gli è apparsa più come una festa di compleanno a cui partecipare, sembra una specie di cosa così ai loro occhi. Poi c’è anche un altro fattore da considerare. Quando sei papà e vai in giro in strada col passeggino ed incroci un altro papà, normalmente, a meno che non sei immerso nei tuoi pensieri, incroci il suo sguardo e ti viene naturale partecipare alla fatica reciproca e secondo me è successa questa cosa, ci siamo un po’ annusati da papà come quando ci si incontra in strada e ci si dice mentalmente “ah questo è un altro papà, quindi sicuramente può capire quello che sto passando io.”

 

Un album così speciale non può che portare con sé degli aneddoti memorabili. Ci racconti le cose più curiose accadute durante la registrazione dei brani?

 

Le registrazioni sono state molto molto rapide in realtà, non è la parte più aneddotica. Posso dirti che i bambini sono stati interessanti. Intanto mia figlia, che è l’autrice del testo di “Pellicano dove vai?”, brano che non ha mai voluto cantare, però compare lei con la sua vocina nel disco, mentre cerca di svicolare in tutte le maniere per non parlare del pellicano, vorrebbe parlare del fenicottero, e il disco finisce proprio con lei che dice “Basta spegni”, perché proprio non c’è stato verso di farla cantare, per quanto sia stata lei a darmi il testo. Il testo è una serie di frasi nonsense che tirava fuori mentre faceva il bagnetto.

Poi ho registrato il Piccolo Coro Angelico, diretto da Giovanna Giovannini a Bologna, un coro di bambini bravissimi, non professionisti come l’Antoniano, ma molto bravi. Sono venuti preparatissimi, io stesso sono andato al supermercato a comprare i panini col wurstel, le pizzette, i succhi di frutta, poi gli ho preso qualche regalino da Tiger. Gli ho allestito la merenda della mattina, perché comunque dovevamo registrare sei pezzi. Questi sono gli aneddoti che si possono tirare fuori, non c’è rock&roll, c’è solo tanta infanzia.

 

Tu che di suoni te ne intendi, che tipo di lavoro di composizione hai fatto sui brani e quali sono stati gli strumenti chiave del disco?

 

Ho cercato di ridurre ai minimi termini una specie di piccola orchestra. Ci sono strumenti classici come il violino o il fagotto, ci sono alcune percussioni, io suono un po’ le tastiere. C’è Valerio Canè, il bassista dei Mariposa, che ha suonato il basso, ci sono alcune chitarre che ha fatto Alessandro Grazian, che suona anche il banjo. Una piccola orchestrina in miniatura, però in realtà i riferimenti sono molto vicini a quelli dei dischi che ascoltavo, appunto “L’Arca” di Endrigo con Bacalov agli arrangiamenti, oppure alcune cose molto belle degli Zecchini D’Oro degli anni ’70, senza metterci elettronica. Non ce n’è quasi traccia, è tutto molto acustico e tutto molto classico, perché mi sono stufato dei suoni sintetici della musica baby dance che imperversa, volevo dare un suono ai bambini che fosse divulgativo, con gli strumenti veri.

 

Domanda Nonsense: Dire tutto o dire niente?

 

Ti potrei rispondere “dire forse”, perché è meglio non prendersi la responsabilità di dire tutto o dire niente. Non essere mai convinti fino in fondo di quello che si dice, a volte, è un segno di intelligenza.

Written By

Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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