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No Interview

No Interview – A Toys Orchestra – Lub Dub è il tempo scandito dal cuore

“A quattro anni di distanza da “Butterfly Effect” gli A Toys Orchestra tornano con un album che ha il suono del battito cardiaco.

“LUB DUB”, undici tracce come tappe di un viaggio in un’intimità seducente e straziante. Un disco che trova nella sensibilità emozionale dell’ascoltatore il suo interlocutore privilegiato. Espressione dell’anima di una band che ha scelto di non rinunciare alla propria libertà espressiva, ma di farne un baluardo.

“Lub Dub” è il ritornello del cuore di tutti. Che si fa canto di gioia o di dolore, d’amore o di odio, che si fa sussurro o urlo, battito o palpito. Perché il petto non solo batte, ma canta, parla, urla, bisbiglia.”

 

Intervista di Egle Taccia

 

Vi siete presi una pausa dall’ultimo album. Cosa avete fatto in questi anni?

Quello tra “Butterfly Effect” e “Lub Dub” è stato un periodo che è volato, perché ci siamo accorti solo alla fine che stavano passando quattro anni e ci siamo svegliati da questo torpore, però non sono stati anni in cui non abbiamo fatto niente, a parte alcuni progetti personali ancora a livello casalingo, sono stati gli anni in cui abbiamo collaborato con Nada.

Con Nada la cosa è andata avanti più del previsto, il tour è diventato molto lungo, un tour molto fortunato e apprezzato, che ci ha portati a fare moltissime date. È stato il tour più lungo della carriera di Nada, quindi sono stati tanti i concerti in giro con lei lungo due anni. L’altro periodo, invece, è stato di assestamento tra una fase e l’altra. Quando abbiamo deciso di fare LUB DUB è stato come un colpo di fulmine, era un disco che a me piace pensare come già maturato dentro, è stato solo una scelta tirarlo fuori, è venuto fuori molto velocemente.

Cosa c’entra il battito del cuore col vostro titolo?

C’entra tanto, perché è stata una cosa che ho incontrato per caso girando in rete, durante uno di quei classici “dottor Google”, quando vai a cercare i sintomi su Google, cosa che non si dovrebbe fare mai, mi sono imbattuto in questo sito medico dove veniva esposta questa teoria, che poi è una scoperta medico-scientifica: il cuore fa due suoni durante il pompaggio del sangue, che sono Lub e Dub. Sono due vere e proprie parole e questa cosa mi ha affascinato incredibilmente, ancora prima che le canzoni fossero scritte ho deciso che questo sarebbe stato il titolo del disco. Effettivamente questa idea mi ha influenzato per il mood del disco, che è un disco molto più lento, dove appunto i bpm sono sempre molto vicini a quelli del battito cardiaco e il fascino di queste due parole, che sono un mantra che si ripete dall’alba dei tempi dell’essere umano e che sono le stesse parole nel petto di ognuno di noi, bianchi, neri, maschi, senza nessuna distinzione, l’ho trovato un messaggio molto forte.

Soprattutto in un periodo in cui le differenze sono accentuate e c’è il concetto del nemico…

Assolutamente, questa è proprio la giusta definizione. È un periodo in cui la violenza verbale, ma non solo, è entrata nelle case, è entrata nelle famiglie, non è più appannaggio di pochi, è diventata una violenza da bar, una violenza formato famiglia. È un periodo molto buio, secondo me. Viene preso sottogamba, ma è un periodo molto triste. Abbiamo cercato di mettere in risalto questo senso di uguaglianza, di libertà, anche con i videoclip. Nel primo videoclip di “Lub Dub” ci sono tutte le etnie in una macchina che viaggia. Nell’ultimo videoclip, quello di “Candies & Flowers”, abbiamo preso come protagonista una transessuale napoletana che immagina il suo matrimonio. Insomma, stiamo cercando comunque di piantare i piedi a terra e far capire che noi abbiamo una posizione, perché penso che di questi tempi non si può stare nel mezzo, perché stare nel mezzo è un peccato, nel senso che è fare peccato.

Anche perché nel passato, in questi periodi storici, la musica ha avuto un ruolo importantissimo, quindi immagino che sentiate anche il peso della responsabilità in questo momento…

Più che il peso della responsabilità io sento di dover dire la mia, magari non in maniera banale, non per forza in maniera politicizzata e basta, ho bisogno di dire la mia, perché, come dici tu, la musica ha un ruolo importante, perché è una forma di comunicazione, noi stiamo comunicando in questo momento, poi si può parlare di tante cose senza doverlo fare in maniera palese e banale, si possono trovare tanti modi per arrivare alle persone, basti pensare a gruppi come i Massive Attack, che fanno comunque dei concerti super politicizzati, fanno dei dischi che dicono la loro su tante cose, eppure non stiamo parlando dei 99 Posse o della Bandabardò. Ci sono tanti modi di esporre questo tipo di pensiero. Quello che mi ha preoccupato molto di questo periodo della musica in Italia, senza voler essere per forza polemico, è questa nuova ribalta, questo ricambio generazionale che è giusto che ci sia, non sono qui a discutere quello, ma che è troppo avulso dalla realtà che ci circonda; spesso i testi girano intorno alla tipa che ti ha lasciato o comunque intorno ad amori molto frivoli o a qualcosa che descrive dei paesaggi che sono diversi da quella realtà che sta vivendo un Paese come l’Italia in questo momento, non c’è bisogno di dire “Salvini vaffanculo” in un testo, però nascondere la realtà, bypassarla completamente, secondo me non è per forza un buon modo per comunicare.

Parliamo dei suoni dell’album. A proposito di quello che dicevi, sono assolutamente fuori moda rispetto al revival anni ’80 del periodo. È stata una scelta voluta?

È stata una scelta voluta senza però farla diventare un’ossessione, doveva essere funzionale al disco. Abbiamo pensato ok, veniamo da un disco come “Butterly Effect”, che era molto carico, un disco molto frizzante, molto acido per certi versi nel suono, quindi eravamo saturi sotto quel punto di vista, non volevamo più riutilizzare quel tipo di colore, e quando ci siamo visti in sala prove abbiamo detto “ok, in questo momento va tanto lo sgargiante, noi vestiamoci di nero e diciamo quello che sappiamo con questo tipo di toni”, ed è stato affascinante anche abbassare di tanto le luci nelle canzoni senza dover essere, però, depressi, piuttosto malinconici, cercare di smuovere dei sentimenti, ma non depressi, perché è un disco nero, ma non nero dal punto di vista depressivo, è un disco notturno, molto più intimo, è stato questo. Quando abbiamo capito che eravamo totalmente fuori strada rispetto a quello che era la nuova ondata di musica, è stato anche divertente, perché dopo sette dischi non abbiamo di che preoccuparci, non è quella sicuramente la nostra preoccupazione. La nostra preoccupazione è fare dei bei dischi e farli perché ci va di farli, non perché ci sono altri motivi.

Domanda Nonsense: Qual è il cibo spazzatura preferito dalla band?

Il fatto è che noi siamo talmente tanto golosi che non riesco a chiamare cibo spazzatura niente, perché siamo tutti dei gran mangioni, quindi anche un banalissimo e zozzissimo kebab per me non è spazzatura, se fatto bene. Sicuramente quando ci troviamo dalle parti di Roma, il famoso camioncino che si chiama “il camioncino degli zozzoni” è un grande aiuto, è quello che invece al nord chiamano l’asciugone. Quando hai bevuto tanto, quel panino unto e bisunto ti aiuta molto ad andare a dormire.

 

 

 

 

Written By

Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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