Cinque brani, di cui quattro già pubblicati (dapprima in anteprima sul Fatto Quotidiano in versione studio, e poi in versione #nofilter (acustica) su Rockol), e un inedito, “scolorando bice”. Stiamo parlando di cinque anni, il nuovo Ep di Giulio Casale, uno tra gli artisti più eclettici della scena musicale italiana e non solo.
“cinque anni” è ricerca di nuove sonorità, è contemporaneità, è metamorfosi. Cos’altro aggiungeresti?
Nulla. Se fossi riuscito a ridare in musica e parole questi tre concetti ideali (per me) potrei persino ritenermi soddisfatto. Il che naturalmente non capita mai. Poi il titolo, oltre a citare quel Bowie, rappresenta anche un auspicio di durata, in questo tempo che tutto brucia in pochi attimi. Siamo immersi in un tempo senza più tempo: neanche male, se a uno piacesse restare sempre in superficie.
“scolorando bice” presenta un testo colmo di ossimori. Come ha preso forma questo brano?
Come nascano le canzoni resta un mistero. Uno ci si affeziona proprio per quello: per il mistero. Con questo pezzo ho sfondato porte che non conoscevo (armonicamente, metricamente) e la lingua italiana doveva star dietro a queste scoperte musicali in un certo senso. Poi i sentimenti, l’amore la solitudine il senso d’abbandono, a me sembrano contraddittori in loro. “Love will tear us apart” resta una delle più grandi canzoni pop mai scritte proprio in quanto nega in radice la retorica dei buoni sentimenti. Ogni retorica falsifica il proprio messaggio. D’istinto ne sto alla larga, ossimori o no.
Immagino che la scelta di scrivere ogni titolo in minuscolo abbia un significato preciso. Puoi svelarcelo?
C’è un’ego-mania in giro veramente insopportabile, più cresce il vuoto più s’ingrossa l’ego. Anche queste mie parole le dico piano, lo vedi, quasi scusandomi, scuotendo la testa. Il minuscolo è questa pochezza che sono io, di contro all’IO dilagante che vuole altro potere e brama e brama…e impone e esalta se stesso, brutale e sprezzante, spesso ignorante.
Sei un artista poliedrico, il tuo nome è noto non solo nella musica, ma anche nel teatro e nella letteratura. Fare arte è per te una necessità?
Faccio solo quello che posso. Scrivo tutti i giorni e poi pubblico quasi niente. Necessità però è una bella parola: rimanda all’essenza, al poco per cui vale la pena. Anche la pena d’esserci.
Ascoltando “tutto cadeva” viene istintivo riflettere su quanto nel vuoto si possa ritrovare ciò che conta davvero. È una riflessione apparentemente ovvia, ma con il bombardamento di stimoli a cui siamo perennemente sottoposti risulta ostico staccare da tutto.
Certo. Forse però prima bisogna avvertirlo, il crollo. E danzarci in mezzo, riuscire a danzare mentre ogni cosa va in pezzi e deflagra a terra. D’altra parte conosco un sacco di gente a cui il mondo piace proprio così com’è, non posso farci niente.
Domanda Nonsense: una parola che trovi estremamente affascinante?
Atrabiliare.
Intervista a cura di Cinzia Canali