“Canzoni per metà” è il nuovo album di Dente, dal doppio significato di canzoni lasciate a metà, ma non incompiute, e di canzoni dedicate alle metà, agli amori passati, presenti e chissà, anche futuri. È un album di 20 brani, di 20 canzoni di durata anche brevissima, in cui l’artista gioca a destrutturare la forma canzone, riuscendo a spiegarci che anche in pochi secondi una canzone può regalarci delle forti emozioni.
Ho incontrato Dente per conoscere meglio l’album e scoprire cosa si nasconda dietro alcuni testi.
Intervista a cura di Egle Taccia
“Canzoni per metà” è il tuo nuovo album. Quali intenti si nascondono dietro il gioco di parole del titolo?
Nessun intento, innanzitutto, ma semplicemente un gioco, un doppio significato, più che altro, più che un gioco. Si intende canzoni scritte per delle metà e canzoni per metà, nel senso di canzoni che possono sembrare incompiute, possono sembrare lasciate a metà, ma in realtà non lo sono secondo la mia concezione della musica e della canzone. Non lo sono, ma per come conosciamo le canzoni in modo canonico potrebbero sembrare così.
Hai voluto sperimentare una nuova forma canzone?
Ma sì, fondamentalmente sì, ho voluto un po’ fregarmene della forma canzone e quindi sperimentare e capire se questa cosa che secondo me ha una dignità raggiunge anche le persone; ho voluto capire se una canzone di 50 secondi o di un minuto e mezzo possa trasmettere tanto quanto trasmette una canzone più canonica.
Il disco è uscito per “Pastiglie”, la tua etichetta. Sentivi il bisogno di una completa indipendenza?
No, perché ce l’ho sempre avuta, per me non è stata una scelta legata all’indipendenza, soprattutto artistica, perché quella appunto c’è sempre stata, nessuno è mai venuto in studio a dirmi quello che dovevo fare. E’ uscito per Pastiglie perché anche qui volevo provare un esperimento, volevo vedere cosa vuol dire avere un’etichetta, per vedere come funzionasse, e anche per una questione burocratica, perché senza etichetta è un po’ difficile, senza una posizione legale è un po’ difficile fare uscire un disco.
Parliamo dei suoni. Molti brani hanno un tappeto sonoro che ricorda i tuoi primi album, mantenendo arrangiamenti particolari e ben congegnati. Durante le registrazioni hai preferito lasciare l’essenziale e puntare più sulla forza dei testi?
Sicuramente queste canzoni ruotano molto intorno ai testi, appunto perché non ci sono grandi ornamenti, sono essenziali come dicevi tu, quindi sicuramente sono costruite, ma come è sempre stato, intorno ai testi. Diciamo che queste canzoni sono delle canzoni un po’ più particolari rispetto al solito, non tutte ovviamente, però le canzoni così le ho sempre scritte ed ho sempre scritto anche quelle normali, a volte vengono delle canzoni che per quello che hai da raccontare stanno meglio in una forma più canonica, più classica, e a volte invece no e quindi in tutti e due i casi non mi sforzo mai a farle diventare qualcos’altro, perché in una canzone che sta in piedi con una strofa non ha senso metterci strofe, ritornelli, parti strumentali, e non ha senso neanche fare il contrario, se una canzone comunque ha bisogno di tutte quelle cose lì, non puoi riassumerle in una strofa sola, quindi ogni cosa che tu hai da dire ha bisogno dei suoi spazi, dei suoi limiti.
A proposito di registrazioni. Come ti sei trovato a collaborare con Appino?
Bene! Lui è un amico e io avevo bisogno di andare in una situazione di confort, in una zona di confort amichevole, di registrare con qualcuno che mi lasciasse fare sinceramente e lui è comunque molto bravo, ha i mezzi tecnici e le competenze tecniche che a me mancano sulla registrazione, sull’uso dei microfoni, sull’uso dei macchinari, quindi mi sono affidato a lui, abbiamo passato un mese e mezzo insieme ed è stato molto divertente.
L’album sin dall’inizio colpisce con questa frase: “Ma non ti preoccupare non la sentirà nessuno, i cantautori non vendono più…”. E’ una critica nei confronti del mercato musicale e della scarsa diffusione della cultura nel Paese?
No, non è una critica, assolutamente, è semplicemente un divertimento, appunto quella canzone lì dice che tanto non si vende più, quindi questa canzone non la sentirà nessuno, non preoccuparti perché sto parlando di te, è una canzone divertente, è una battuta. Una polemica sul fatto che i dischi non si vendono più sarebbe anche un po’ sciocca, nel senso che si sa, è una cosa sotto gli occhi di tutti e non si può neanche polemizzare più di tanto, secondo me è anche un po’ stupido polemizzare. Polemizzare vorrebbe dire “andate a comprare i dischi”, “comprate i dischi”, ma sarebbe una cosa un po’ stupida, sarebbe come dire andate in giro con il calesse perché è più bello, con il calesse non inquinate, ma non ci va più nessuno in giro con il calesse, ci si andava 150 anni fa in giro col calesse, adesso ci sono le macchine, ci sono i treni e andiamo in giro così. E’ normale che la musica in questi ultimi tempi si ascolti in modo diverso, perché ci sono tutta una serie di supporti nuovi, che conosciamo bene, e quindi i dischi piano piano andranno a scomparire, come sono andati a scomparire i calessi in giro per l’Italia, no? È abbastanza normale, perciò è abbastanza stupido fare una polemica e quella canzone non è una polemica.
A proposito di cantautori, quest’estate ti ho visto assistere con grande attenzione ad un live di Finardi a Tindari. Ci sono altri cantautori italiani che ami particolarmente?
Finardi mi piace molto, è uno dei miei grandi amori di gioventù, di adolescenza, è stato molto importante per me e sì ce ne sono tantissimi altri, ce ne sono molti, dai più anziani ai più nuovi, mi piace molto la musica italiana e non potrebbe essere diversamente.
Ne “I Fatti tuoi” c’è un’altra frase che mi ha colpita: “Diego parla dice che io scrivo bene/ Ma non mi importa perché qui/ La gente non lo sente/ E se lo sente non capisce.” Non ti senti capito?
Tempo fa mi sentivo molto meno capito di adesso, oggi so che c’è qualcuno che mi capisce. Tempo fa sì, mi sentivo molto meno capito, molto più incompreso da ragazzo; quindi sì a volte non mi sento molto capito, però non è neanche necessario esserlo.
Per presentare l’album e “Curriculum” ci hai fatto fare un bel viaggio per Milano. Che tipo di rapporto hai con questa città?
Beh è la città in cui vivo da dieci anni ormai, quindi ho un bel rapporto, ci continuo a vivere, mi piace, ci sto bene, la preferisco a tanti altri posti dove sono stato. Mi ha sempre dato; a differenza di quello che dice molta gente che viene qui e la definisce come una città fredda e inospitale, io forse ho avuto la fortuna di trovare delle persone molto ospitali, quando sono venuto a vivere qui, mi sono trovato sempre molto bene con le persone, forse ho conosciuto della bella gente, non lo so. Quindi sono sempre andato d’accordo con questa città.
Quando sei lontano dai palchi preferisci leggere, andare al cinema, viaggiare o vedere una bella mostra?
Direi leggere, tra queste cose, perché ultimamente sono molto casalingo e quindi mi piace stare in casa tranquillo a leggere.
Foto di Maddalena Compagnoni