Gazzelle è una delle dimostrazioni di come il 2017 sia stato l’anno dei grandi esordi. Il suo “Superbattito”, il cui lancio è stato accompagnato da alcune foto sfocate dell’artista, ha raggiunto i cuori di migliaia di fan, mandando sold out il tour sin dalla prima data. Lo abbiamo incontrato per conoscerlo meglio e ci ha parlato del suo album come di un disco sull’amore.
Cosa si nasconde dietro Gazzelle e le sue foto sfocate?
Ormai niente, perché solo all’inizio mi sono un po’ nascosto, poi ovviamente dal 3 marzo in poi, che è stata la prima data del tour a Roma, per forza di cose ho dovuto svelarmi, tanto poi ai concerti mi vedevano. Questa cosa è durata dal lancio del primo singolo, da dicembre dell’anno scorso, fino a marzo, ed è nata così, un po’ per giocare, mentre poi da marzo ho fatto 80 concerti, quindi mi hanno visto e rivisto.
Questa scelta iniziale è nata per dare più attenzione alla musica rispetto all’immagine, in un periodo in cui la seconda vince su tutto?
Di base sì, era esattamente questa la ragione, volevo solo che arrivasse la musica. In realtà è stata una cosa leggera e giocosa, che poi ho continuato a fare perché mi divertiva e perché volevo concentrare l’attenzione generale della gente solo sulle canzoni.
“Superbattito” è il tuo ep d’esordio. Tra amori malconci e zucchero filato, di cosa parla l’album?
Parla di me, della mia vita, perché io scrivo quello che mi succede. Per me scrivere è come una terapia, uno sfogo, è un disco che alla fine definirei abbastanza d’amore, però non solo d’amore, ma sull’amore,“about”…
Ho letto che un po’ ti copre o un po’ ti mette a nudo. Preferisci essere il protagonista dei tuoi brani o l’osservatore distaccato?
Io credo che per forza di cose posso essere solo il protagonista. Lì per lì mentre scrivo una canzone non ci penso, poi quando la ascolto, dopo che ho finito, non mi sembra neanche che l’abbia scritta io a volte.
Molti ti hanno paragonato a Calcutta, questa cosa ti lusinga o nasconde un approccio un po’ superficiale al tuo album?
Mi lusinga, ma penso che siamo abbastanza diversi, ovviamente abbiamo delle cose in comune come l’età, la provenienza, l’epoca in cui viviamo, però credo che siamo abbastanza diversi. All’inizio hanno fatto dei paragoni, magari perché quando è uscito Calcutta, due anni fa, ha fatto un bello scalpore e credo che, avendolo fatto anch’io, forse gli serviva paragonarmi a qualcuno, ma penso che dopo un po’ questa cosa sia svanita, perché ascoltando l’album o venendo ai concerti si notano delle differenze tra me e lui, come è normale che sia, però io lo stimo, penso che Edoardo sia uno dei migliori della scena.
Già ti ho visto live un paio di volte, al Siren e al Mish Mash, e la cosa che mi ha colpita è stato il calore del pubblico, che letteralmente ti ha sovrastato. Ti aspettavi di iniziare con tutto questo affetto?
No, obiettivamente non me l’aspettavo e infatti è incredibile, tuttora è incredibile, dopo 80 concerti in 8 mesi, che se ti fai due conti la media è di uno ogni tre giorni, e il calore della gente è stato sempre assurdo, sempre maggiore ed esponenziale. È partito subito così, dalla prima data sold out al Monk di Roma, il pubblico è stato affettuoso e caloroso e credo che questo sia dovuto alla bella empatia che si crea ai live tra me e la gente, un vero e proprio dare e avere.
Domanda Nonsense: La cosa più assurda che ti è capitata in tour?
Non so, non mi ricordo nulla del tour. In questo momento sono dentro a una centrifuga da otto mesi, e sono capitate delle cose incredibili e assurde tutti i giorni, però sto sempre ubriaco e non me le ricordo. (Ride).
Egle Taccia