Giuseppe Milici, classe 1964, è uno degli armonicisti e compositori italiani più importanti in circolazione. Ha lavorato per diversi programmi televisivi, composto colonne sonore per film, accompagnato in tour mondiale alcuni artisti importanti. Il suo ultimo lavoro, in collaborazione con Papik e Fabrizio Foggia si intitola The look of love ed è una rivisitazione di una serie di brani che sono stati essenziali nella formazione e nella vita dell’artista. Nell’anima di Giuseppe Milici, prevalentemente jazz, c’è spazio per qualsiasi creazione musicale, purché venga dal cuore.
Lo abbiamo intervistato in occasione del suo concerto insieme alla Papik Band del 14 gennaio al Billions di Roma, dove verrà presentato The look of love.
di Eleonora Montesanti
Giuseppe, iniziamo proprio dal principio: c’è stato un momento preciso in cui hai capito che la musica avrebbe avuto un ruolo così importante nella tua vita?
Ho sempre amato profondamente la musica. Sin da bambino ho sempre ascoltato sia la classica che il jazz, ma ho capito che sarebbe stata la mia professione a 19 anni quando ascoltai il disco Slow Motion di Toots Thielemans.
Come mai hai scelto uno strumento particolare come l’armonica?
Mi affascinava l’idea di uno strumento in grado di fare grandi cose pur essendo estremamente piccolo a tal punto da poter essere riposto in una tasca!
Com’è barcamenarsi tra l’improvvisazione del jazz, le composizioni musicali per la televisione e la creazione di un disco? Qual è il filo conduttore che mantiene intatta la tua identità artistica?
Il filo conduttore è solo l’amore per il mio lavoro che mi porta a desiderare sempre esperienze diverse. Se andate a dare uno sguardo alla mia discografia noterete collaborazioni con artisti di generi molto diversi e la cosa la trovo estremamente interessante… La composizione è un’esigenza che si ripresenta periodicamente e in quei periodi mi piace isolarmi e dedicarmi solo a questo.
Parlando del tuo ultimo lavoro, The look of love, come è avvenuto l’incontro con le sonorità “Papik” (e, ovviamente, le persone che le rappresentano)?
Ho conosciuto Papik anni fa e sono subito rimasto affascinato dal suo gusto musicale e colpito dalle tante affinità. In quello stesso istante ho capito che prima o poi avrei realizzato un disco con lui e fortunatamente è accaduto.
Con che criterio hai scelto i brani che hai interpretato? Ce n’è uno su tutti a cui sei particolarmente legato?
Dimmi cos’è è il brano a cui sono maggiormente legato ma non saprei dire perché. Per quel che riguarda la realizzazione vorrei dire che, contrariamente ai dischi che ho realizzato in precedenza, che erano prevalentemente strumentali, questo, anche in virtù della mia passione per il canto e i cantanti, vuole essere un omaggio a tutte le canzoni che per me sono state di fondamentale importanza nella mia formazione, ho quindi deciso di invitare sei cantanti, a mio avviso straordinari, che hanno reso questo sogno realtà. I brani sono molto diversi l’uno dall’altro, quindi considero questo lavoro un po’ rapsodico ma fortunatamente a rendere omogeneo il lavoro ci hanno pensato Papik e Fabrizio Foggia che con i loro arrangiamenti hanno reso uniforme il tutto.
Che differenza c’è, in base alla tua esperienza, tra riarrangiare un pezzo già esistente e crearne uno da zero?
Quando riarrangio penso a cosa direbbe l’autore se mi ascoltasse e cerco di mettere qualcosa di mio, mentre quando compongo lascio che siano il cuore e l’istinto a indicarmi la strada.
Grazie al tuo lavoro di professionista in ambito musicale hai potuto girare il mondo. Pensi che la musica abbia il potere di annullare i confini?
Senza ombra di dubbio sì.
Vista la tua esperienza pluridecennale in questo ambito, c’è un consiglio che ti sentiresti di dare ai musicisti giovani ed emergenti?
Non abbiate paura di non riuscire, rinunciare ai propri sogni è la più grande sconfitta. Trent’anni fa vinsi un concorso alle poste e mia madre mi disse: “Perché chiuderti in un ufficio se ami la musica, non temere di non riuscire, anche il suonare per strada potrà darti gioia e ricorda almeno non avrai un padrone e sarai libero.” L’ho seguita alla lettera e da oltre trent’anni sono felice.
Cosa c’è nel tuo futuro artistico più immediato?
Suonare sempre, e fortunatamente ho tanti progetti in itinere. In questo periodo, oltre alle collaborazioni con i miei musicisti abituali sto per portare in giro alcuni progetti a cui tengo particolarmente. Con Neja, ad esempio, è da un po’ che collaboriamo e a breve inizieremo un tour che ci vedrà impegnati in giro per l’Italia. Con Mario Rosini ho da poco messo su un progetto dedicato alla musica di Stevie Wonder e ad Aprile dovrei cominciare una collaborazione teatrale con David Riondino, artista con cui ho lavorato un paio di volte e che stimo tantissimo.