Il 15 aprile, è stato pubblicato su tutte le piattaforme di streaming e in digital download “LULLABIES” (Manjumasi), l’EP del producer e dj Davide Ferrario. Questo album segna l’inizio di un nuovo percorso artistico a suon di deep house, alla quale ha affiancato il suo stile personale, sempre volto alla ricerca di nuovi mondi musicali.
Davide Ferrario, da sempre al fianco di grandi artisti quali Franco Battiato e Max Pezzali, pubblica questo album per l’etichetta di San Francisco Manjumasi, con la quale ha cominciato questo nuovo percorso.
Egle Taccia l’ha incontrato per saperne di più su questa nuova avventura.
Lullabies segna l’inizio di un nuovo percorso artistico. Cosa ti ha spinto verso la strada della deep house?
In verità l’elettronica ha sempre fatto parte dei miei ascolti, nel senso che nonostante io non l’abbia mai prodotta e mai fatta, per lo meno non in maniera seria o con l’intento di farla uscire, è un tipo di musica che ha sempre fatto parte della mia vita, molto più del rock e del pop. Anche tutta la musica in ambito non strettamente elettronico che ascolto, ha comunque una forte contaminazione elettronica, per cui è sempre stata una mia grande passione. Per questo a un certo punto ho deciso di cimentarmi in questo progetto e di vedere cosa ne sarebbe venuto fuori.
Parliamo del titolo. Perché hai scelto di chiamarlo “Lullabies”?
Sono brani che sono nati al pianoforte con delle atmosfere molto morbide e molto avvolgenti che ricordano un po’ l’ambiente casalingo e quel tipo di coccola che ti può dare la protezione delle mura casalinghe. Per cui mi piaceva un po’ il gioco di parole che si creava tra il fatto che assomigliassero un po’ a delle ninnenanne, ma in realtà poi sotto ci fosse la cassa in quattro. Trovavo interessante questo contrasto. Poi sai, in realtà sui titoli vado sempre abbastanza di pancia, non ci sto a pensare troppo e questo mi sembrava un titolo appropriato.
È un album dai suoni spiccatamente notturni. Cosa rappresentano il buio e la notte per te?
Io sono un animale notturno, sicuramente. Sono un tipo che vive molto di sera, di notte, che spesso e volentieri lavora di sera e di notte. Credo che l’umanità si divida in due tipologie di esseri umani, quelli che hanno bisogno della luce e quelli che si trovano a proprio agio a lavorare nelle ore più notturne, più solitarie, ecc. Sicuramente per me la notte è un momento di contemplazione, in cui riesco ad essere quanto meno più contemplativo che di giorno. Per quanto io adori la vita diurna, il sole, credo che per il tipo di musica che piace a me, per il tipo di artista che sono, sicuramente le ore più tarde del giorno sono quelle che mi aiutano di più ad esprimermi.
Com’è nata la tua collaborazione con la Manjumasi, etichetta di San Francisco con cui hai iniziato questo percorso?
A questo progetto ho iniziato a lavorare a settembre, quando avevo buttato giù le prime due tracce, che poi sono queste due che sono uscite nell’ep. Loro fanno della musica che a me piace, quello che loro pubblicano fa parte dei miei ascolti e in questo momento trovo che sia molto simile a quello che produco, che faccio. Una volta che ho avuto queste due tracce in mano, le ho mandate a loro e a nessun altro, nel senso che non ho fatto il tipico spamming che si fa a centomila etichette, le ho mandate solo a loro e la cosa bella è che mi hanno risposto e questo l’ho interpretato come un segno del destino, come se fosse giusto aver a che fare con loro, e devo dire che poi approfondendo anche un po’ meglio quello che fanno uscire, i loro artisti, i loro progetti, ecc., mi sono reso conto che è tutta roba che a me piace molto. I due remix che hanno fatto fare sono molto coerenti con quello che penso io, ma anche la stessa scelta della copertina. A un certo punto un giorno mi è arrivata, anche se io non avevo neanche pensato che bisognasse fare una copertina, e quando l’ho vista ho detto “sì, cazzo, è lei!”. Quindi sì, credo che ci sia una grande affinità.
Che tipo di lavoro hai fatto sui brani? È nato tutto spontaneamente o hai dovuto faticare un po’ per trovare il giusto sound?
Ho dovuto faticare tantissimo, perché essendo io un musicista che comunque per professione ha sempre fatto il pop, questo tipo di approccio è completamente diverso. Quando lavori nel pop sei uno che suona delle cose, poi a un certo punto arriva uno che le mixa, poi un altro che fa il mastering, per cui c’è tutta una catena di produzione che in qualche modo suddivide i compiti, mentre se fai elettronica no, se fai elettronica quello che esce dal tuo studio al 99% è quello che poi finisce su disco, per cui non ti puoi permettere solo di suonare delle cose, ma devi fare il pelo a tutto quello che metti dentro, per cui è stato un lavoro di cesello. Il lavoro di scrittura è stato molto istintivo, sicuramente, perché quello ovviamente viene di getto, però poi ho dovuto rifinire tutto, e non credo di essere arrivato a un livello ancora ottimo, ma più si va avanti più si migliora. Sono abbastanza soddisfatto, però è stato un lavoro molto impegnativo.
Sei stato per anni al fianco di due grandi artisti, il Maestro Battiato e Max Pezzali. Cosa hai appreso da questi personaggi così diversi tra loro?
Tante cose, devo dire. La cosa più ovvia che accomuna un po’ tutti questi grandi della musica, in generale, è il fatto che quello che tu vedi accadere sul palco in realtà è frutto di una grande razionalità, per cui immagini sempre che la musica sia solamente emotività e trasporto, ma in realtà quello che poi impari da queste persone è che, per comunicare al meglio questo tipo di cose, in realtà servano invece una dinamica e un meccanismo molto razionali, dove nulla di quello che si fa è lasciato al caso. Questo è sicuramente l’insegnamento più grande.
Domanda Nonsense: Vista la vicinanza a Max Pezzali volevo chiederti se è vero che la regola dell’amico non sbaglia mai.
Direi che lui, che per altro si è sposato da poco con una sua amica, è testimonianza del fatto che la regola dell’amico sbaglia assolutamente.