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No Interview

No Interview – “Qualcosa mi sfugge”, il nuovo disco della Piccola Orchestra Karasciò

Sono trascorsi più o meno due anni dall’anti-tormentone estivo “Canzone d’inverno” e finalmente la Piccola Orchestra Karasciò è tornata con un nuovo disco, Qualcosa mi sfugge. Folk-pop e brani che raccontano le mille domande e riflessioni della cosiddetta generazione di mezzo, i precari per eccellenza.

Paolo Piccoli, cantante e autore della formazione bergamasca, ha risposto a qualche nostra domanda.

Cosa rappresenta quel gorilla in copertina?

Rappresenta tutti noi. La nostra parte più primitiva. Lo sguardo è rivolto ad un futuro che non comprendiamo fino in fondo, che “ci sfugge”. Un senso di interrogazione, timore, speranza e curiosità, impastato in un unico sguardo.

Undici brani, undici riflessioni, undici racconti attuali…

Sono i pensieri di un trentenne, piccole riflessioni autoreferenziali che a forza di essere masticate hanno preso la forma di canzoni, più per un bisogno personale che per un reale fine musicale. Piccole considerazioni di chi si prende qualche minuto per guardare la vita e farsi delle domande. Tutto qui…

Per quanto riguarda il sound pare esserci più ricerca del dettaglio rispetto ai vostri precedenti lavori, è corretto?

Sì, è corretto. Per questo nuovo lavoro ci siamo affidati ad un produttore artistico. Dopo dieci anni di vita, qualsiasi gruppo, anche il più affiatato, corre il rischio di diventare la fotocopia di se stesso. Per evitare questo, abbiamo aperto il nostro “mondo sonoro” ad orecchie esterne. È stata un’ottima scelta.

“Luna” è l’isola dove ripararsi quando la sopportazione ha raggiunto i livelli massimi. La musica è la vostra isola felice?

Lo è senz’altro. Ci serve per non farci inghiottire dalla vita di tutti i giorni. Per apprezzare davvero la quotidianità a volte c’è bisogno di “scendere dal treno”, rifiatare, guardare la vita da un’altra prospettiva e poi risalire su quel treno,  per continuare il viaggio. 

– Fra due minuti mi alzerò dalla poltrona, farò le cose in grande stile – cantate in “Telecommando”, della serie tutti bravi a criticare senza mai fare nulla di concreto.

Le rivoluzioni di cui parlo non riguardano i massimi sistemi o le grandi imprese, ma le piccole rivoluzioni quotidiane. Piccoli cambiamenti alla portata di tutti, senza possibilità di giustificazioni. Se partissimo da quelle, probabilmente cambieremmo noi stessi e poi il mondo.

Un aneddoto accaduto durante la lavorazione dell’album che merita di essere raccontato?

Di aneddoti e goliardate ne avrei un’infinità. Ma per non mettere in imbarazzo qualcuno in particolare, te ne racconto uno che riguarda tutti, giusto per mantenere la par condicio.

Il disco è stato registrato sui colli piacentini, in aprile, in un bellissimo studio di registrazione immerso fra i campi di grano. A quel punto c’è venuta la poco brillante idea di realizzare lì il servizio fotografico, in stile bucolico. Purtroppo però ci siamo lasciati prendere un po’ la mano e fra uno scatto e l’altro, quasi senza accorgercene, abbiamo allestito un set fotografico con macchine da presa, tavoli, sedie, divani, gazebi e oggetti del mestiere. E a fine riprese, più che un campo di grano sembrava tanto un campo di battaglia. 

Ora, noi in via preventiva, per qualche anno cercheremo di non tornare più in zona, giusto per non essere inforcati. Colgo quindi l’occasione per chiedere ufficialmente scusa al proprietario del campo, a nome di tutto il gruppo.

Domanda Nonsense: pensando al termine “rivoluzione” si tende sempre a pensare a qualcosa di imponente, ma la vera trasformazione dovrebbe partire dai gesti quotidiani. Qual è il primo che ti viene in mente?

Spegnere la TV e aprire un libro.

Intervista a cura di Cinzia Canali

Written By

Cinzia Canali nasce a Forlì nel 1984. Dopo gli studi, si appresta a svolgere qualunque tipo di lavoro, ama scrivere e ha la casa invasa dai libri. La musica è la sua passione più grande. Gira da sempre l'Italia per seguire più live possibili, la definisce la miglior cura contro qualsiasi problema.

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