“Orde di brave figlie” è il nuovo disco di Simona Norato, uscito per Ala Bianca e prodotto artisticamente da Cesare Basile. È il secondo lavoro solista dopo “La Fine del Mondo”, finalista al Premio Tenco nella categoria opera prima nel 2015.
Nel nuovo album unisce il blues di Pj Harvey, la grinta di Loredana Bertè, un tocco ispirato di St Vincent, un pizzico di Cristina Donà e un po’ di Beth Gibbons. Mescolando queste influenze con i suoni dell’Oriente e dell’Africa, ottiene la ricetta perfetta per un nuovo capolavoro di cantautorato.
Intervista di Egle Taccia.
Da dove arrivano queste “Orde di brave figlie”?
Da brave madri e bravi padri che volevano bravi eredi che vincessero in questa brava società. Peccato che poi hanno partorito femmine cantautrici nullipare e omosessuali.
Ti descrivi come una signora per cui la guerra è finita. Ti senti in pace con te stessa in questo periodo?
Io vorrei essere una perfetta casalinga di provincia, ma purtroppo i miei sogni di bambina si sono avverati tutti. Più che un angelo del focolare sono il diavolo del falò per cui la guerra è finita.
L’album parte dal sociale. Come mai hai scelto proprio “Un solo grande partito” per aprire il disco?
Dato che finalmente adesso siamo un’umanità evoluta mi sembrava il caso di pensare ai bei vecchi tempi dove vigeva il pensiero unico, la violenza la faceva da padrone, le donne si recuperavano a vicenda dalla spazzatura della storia, i confini erano ben marcati e la Guinea era una colonia francese. In quel tempo non c’era spazio per la noia, che nostalgia.
Dici che “la rabbia si sta tramutando in coraggio. Per la pace è questione di poco.” È un’affermazione molto coraggiosa, visti i tempi che stiamo vivendo…
Chi può negare che noi soldatini dell’arte stiamo conquistando il mondo per contagio, accendendo milioni di nuovi palchi? Cambierà il tessuto sociale e non se ne accorgeranno nemmeno.
Ci parli di relazioni in un periodo storico dove i social hanno completamente trasformato la comunicazione. C’è ancora bisogno dell’altro nella nostra vita?
Trovo che sia ridicolo demonizzare i social network. L’intuizione di Zuckenberg è geniale, poter essere in contatto in ogni momento e da ogni luogo con i propri cari o con i propri collaboratori non fa che avvicinarci.
È importante avere pazienza nella società del tutto e subito?
Io sono una grande fan della pigrizia e della vita normale, quando non si fa dominare dalla vita sognata. Per far sedimentare un’idea non è solo questione di pazienza, ma di pensiero, di ozio, di tempo.
Hai scelto di fare una migrazione al contrario per i suoni dell’album. Verso quali luoghi ti sei diretta?
Il flusso migratorio l’ho percorso al contrario, nel senso che agli stili della musica occidentale ho preferito i ritmi percussivi dell’Africa, i temi dell’Arabia e il blues dell’America che i miei bisnonni hanno cercato senza trovare. Sono pronipote di siciliani imbarcati verso la Pennsylvania, nelle mie vene scorre sangue migrante da generazioni.
Musicalmente è un album molto bello e da cui traspare una profonda ricerca musicale. Sei soddisfatta del risultato finale?
Lasciamolo dire agli altri 🙂 Io mi sento sempre in una fase di passaggio, adesso sto già pensando a cosa sarò nel prossimo disco.
Hai dato anche spazio a brani strumentali, il cui effetto è molto coinvolgente per l’ascoltatore. Cosa ci dicono questi brani senza parole?
Volevo che l’ascoltatore si prendesse una pausa dalla semantica delle parole e si trasformasse all’improvviso nel mostro marino di Orcaferone – ispirato all’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo – o in un esploratore assiso su una barchetta di legno, il Palastramu.
Domanda Nonsense: Qual è l’ascolto che nessuno si aspetterebbe mai da te e di cui ti vergogni un po’?
Io non mi vergogno nemmeno di conoscere a memoria la discografia di Claudio Baglioni. Quasi tutta.
Ecco le prossime date del tour:
18/01/19 Verona, Cohen;
19/01/19 Bologna, Efesto House