Potrei dirvi tante cose per presentare questa intervista agli Zen Circus, parlarvi del disco, di quanto li faccia incazzare la definizione di musica indipendente, del rapporto che c’è tra “Grazie Roma” e “Pisa Merda”, oppure accennarvi alle morti leggendarie che si aspettano di fare. Ma così vi toglierei il bello di andare a cercare tutte queste cose nella lunga e bellissima chiacchierata che ho fatto con i pisani più leggendari della musica rock italiana (leggetela alla Barney Stinson).
Qual è “La terza guerra mondiale” che ci raccontate in quest’album?
Ufo: “La terza guerra mondiale” chiaramente ha un significato più scoperto, che è quello che fa poi intuire anche la copertina, cioè quello di guerra proprio guerreggiata. Abbiamo tanti Paesi in guerra nel mondo, 66 su 196, c’è quindi una guerra effettiva, che si evince anche dalla copertina, dove è presente anche la contraddizione di noi, che sembra stiamo a fare altro, che siamo persi nel nostro mondo aperitivo-festaiolo-social. C’è una guerra che viaggia su due livelli quindi, quella guerreggiata vera ed effettiva e poi c’è quella contro il fegato (ridono n.d.r.)…c’è la guerra che la persona fa contro se stessa, una guerra interiore relativa alla separazione del tuo essere rispetto all’immagine che dai di te, che hai di te, o di quello che immagini sia il tuo mondo reale e tangibile. Quindi ci sono varie guerre sovrapposte, che poi nell’album si trovano un po’ tutte: la guerra contro il capro espiatorio di turno, vedi “Zingara – il cattivista”, la guerra contro la malattia, vedi “Non voglio ballare”, la guerra contro se stessi, la guerra contro il tuo luogo di origine che è “Pisa merda”. Ci sono tante guerre riunite in un discorso. La guerra invocata, la guerra che vogliono tutti.
Oggi leggevo uno status di un amico terrorizzato dalla marea montante di rabbia e cinismo che c’è su qualunque argomento. L’ultima notizia per esempio è che il governatore della Campania, che non è una persona eccellente, ha deciso di dare i vaccini gratis anche ai maggiorenni, cosa che il governo deve fare e non c’è nulla da commentare. Anche lì è partita un’incazzatura bestiale perché lui è pregiudicato. Ma che c’entra? Adesso è proprio così.
Karim: Da qua il famoso detto che anche Hitler magari una volta una cosa giusta l’ha detta, magari ai nipoti, come mettiti un golfino che fa freddo. Una cosa giusta anche detta da un imbecille resta giusta, bisogna contestualizzarla, come anche una persona intelligente può dire una boiata. Ora questo fenomeno lo chiamano benaltrismo.
Ufo: Nel mondo è così dappertutto, non solo qui. Sono andato a guardare le pagine facebook in America, ci sono i meme che raccontano del soldato che torna dall’Iraq e dorme in macchina, invece ai messicani danno la casa.
Karim: Oggi Libero ha fatto una delle prime pagine peggiori, i terremotati a -20 e gli immigrati al calduccio nell’hotel a 4 stelle. È un po’ come fare una divisione sommaria dell’analisi dei problemi, decontestualizzare e poi usarne i concetti.
Ufo: Forse perché la realtà è diventata talmente complessa e interconnessa che probabilmente la gente sente un bisogno istintivo di semplificare e andare per le spicce. Tutti vorrebbero una resa dei conti immediata che risolvesse tutto al volo e facesse ritornare tutto com’era prima, cosa che è impossibile.
Karim: C’è un po’ questo specchietto delle allodole per cui la tecnologia dal punto di vista sociale ha semplificato, con le app, gli smartphone, ecc., e la capacità di analisi in questo modo sparisce. Tutto è più facile.
Ufo: Come si risolve il debito italiano? Prendi un miliardo qua e lo metti là e basta, è come se la finanziaria la potesse fare chiunque. Non è così semplice la realtà, ma molti la considerano così.
Il mondo dei social e del web ci hanno resi disumani?
Ufo: No! Ha esaltato dei tratti abbastanza negativi della società. Ha tirato su la saracinesca su cose che prima erano non centralizzate e più periferiche. Entravi nel baretto, sentivi una stronzata e rimaneva nel baretto. L’alienazione dell’uomo da sé comincia, come insegnano persone molto più colte di noi, molto prima. Il capitalismo ha dato una spinta a questa accelerazione. La comunicazione adesso è arrivata a un punto di stallo, come se fosse su un’onda stazionaria. Se non arriva qualcosa a mutarla è quasi arrivata alla fine.
Karim: Si sta cominciando a muovere qualcosa in questi ultimi due anni a livello legislativo e penale, ovvero a colpire i siti che diffondono false informazioni. Sembra una scemata ma il 73% degli italiani ammette di informarsi sulla bacheca di facebook, in cui la maggior parte delle notizie provengono da siti fittizi. Questa è una cosa allucinante a livello di comunicazione e stanno cominciando a farle scendere sul penale queste cose. Stiamo cominciando a capire come funziona il nuovo mondo, ma non è detto che ci vorrà poco tempo. È stato troppo veloce come cambiamento sociale e comunicativo. Se prendi quello che è successo dal ’90 al 2000 e lo paragoni a quello che è successo dal 2013 al 2016, ma anche a quello che è successo dal ‘60 al 2000, è un cambiamento un po’ troppo repentino.
Come mai spesso nei vostri brani ci parlate degli antieroi, degli ultimi della società?
Appino: In realtà non è che sono degli antieroi, spesso sono eroi, dei ragazzi eroi e delle ragazze eroine esistono, però si dice anche che gli eroi non servano a niente, che fortunatamente quella degli eroi è un po’ un’idea del cazzo. Sin da piccolino a me personalmente non è mai piaciuta, anche l’idea degli eroi greci.
C’è un odio amore, come nei confronti della provincia in cui siamo cresciuti, dove ci sono delle cose bellissime e intrinseche, ma anche delle cose orrende. Così anche gli ultimi non sono tutti meravigliosamente puri nel loro essere ultimi.
Karim: Siamo sempre più verso gli ultimi che verso i primi.
Ufo: Ci interessano le storie minori, senza dubbio, perché la somma delle storie minori può fare le storie grosse.
Appino: Abbiamo sempre tratto ispirazione dal mondo degli ultimi, avendo sempre analizzato la questione da fuori. È raro che tu sia un ultimo, che tu ne abbia la coscienza.
Ufo: Bakunin era un nobile.
Appino: De Andrè veniva da una famiglia ricca. Figurati se oggi venisse fuori uno come lui! Direbbero: “questo è pieno di soldi, che cazzo dice?” Se uscisse oggi De Andrè la critica musicale direbbe che è un radical chic, che è un figlio di papà. Sicuramente.
Karim: C’è questa dicotomia che crea antipatia nell’intellettuale borghese, che viene da un livello culturale più alto rispetto a coloro che va a difendere. Sul Motta si sono inventati che è figlio di quello dei panettoni, pur di dirgli qualcosa.
Per i suoni avete scelto di rispettare la dimensione live…
Appino: In realtà no, è una bugia, nel comunicato stampa c’è scritto che ci sono basso, chitarra e batteria, che è vero, però c’è un lavoro di produzione enorme dietro. In realtà è il disco più radiofonico che abbiamo mai fatto, volutamente. Volevamo che suonasse molto pop e abbiamo giocato coi suoni, in modo che quando senti cose strane, non sono tastiere, ma chitarre o voci filtrate ed effettate. Un disco veramente live è “Canzoni contro la natura”, quello è proprio suonato in sala prove e registrato con pochissime robe aggiunte e suona in quella maniera lì. Forse è stato fuorviante scrivere questa cosa nel comunicato.
Ufo: Live suona bene e suona fresco quando lo senti, non dà l’idea del disco artefatto. C’è un lavoro di produzione per cui non si può dire che è un disco live. C’è un lavoro di produzione che, come sforzo di tempo e di intelletto, prende i tre dischi vecchi e li mette insieme. Suona fresco ma in realtà il lavoro più grosso è stato fatto dopo la registrazione, è stato un lavoro mostruoso, perché si è data un’identità propria a ogni brano. Se lo vai ad ascoltare bene gli strumenti suonano diversi in ogni pezzo.
Karim: quando scriviamo i pezzi in sala prove facciamo un lavoro iniziale, in modo che quando andiamo a fare la post produzione sappiamo già dove andare a parare. Quando sei in studio molto spesso le perle vengono fuori dagli errori utili o da cose che scopri sul momento, ma chiamarlo un disco live è un po’ sbagliato.
Ufo: È il disco dei nostri che si replica meglio di tutti live, forse anche grazie al fatto che c’è il nostro compare Francesco, sarebbe stato insuonabile dal vivo, quindi diciamo che è tutto merito del maestro Pellegrini.
In realtà non intendevo dire che è un disco live, ma che, paragonato a tutto quello che sta uscendo adesso, anche dall’ambiente indie, si discosta molto nei suoni…
Appino: Ci sono le chitarre! Lo abbiamo fatto anche un po’ apposta quel gioco lì, non abbiamo nulla contro i synth, però ci ha cambiato la vita la musica fatta con le chitarre e ci piace l’idea di proseguire in quel senso.
Karim: Non abbiamo voluto sostituire le pianole con i “synti”. Si fa riconoscere in questo senso, ma è in continuità con la nostra storia.
Appino: Una cosa di cui devo dare atto alla nuova generazione, ti parlo da ascoltatore e da produttore di musica registrata, non da Zen, è che ultimamente, anche grazie alle nuove tecnologie che hanno fatto passi da gigante e ai plug in che sono diventati incredibili, fino a cinque anni fa non erano così, oggi ci sono dei lati molto belli di produzione sonora, che anni fa erano un po’ buttati lì. Prendi un disco come quello di Motta, piuttosto che altri che sono usciti, in cui pensi che questo può essere il nuovo corso del rock. Per noi. Ovviamente senza nulla togliere a chi invece lo fa con altri linguaggi. Non è una questione di essere pro o contro, siamo un gruppo rock e lo saremo sempre.
Karim: La cosa che ci ha stupiti è che è stato il disco che è andato meglio, in un periodo in cui i dischi con le chitarre non si sentono tanto in giro.
Ufo: Di gruppi con le chitarre siamo rimasti pochi, ma è una cosa positiva perché intercettiamo tutto quel pubblico che ama le chitarre. Ci sarà sempre una fetta di pubblico che ama quella musica. Una cosa a latere è che questa scena che si sta facendo avanti in molti settori, nella canzone pop, nella roba dance con Cosmo, sta eludendo un po’ tutto. La discoteca è diventata marginale, come scena, in Italia. Vent’anni fa era la cosa maggioritaria in assoluto, era la discoteca per tutti, poi qualcuno andava ai concerti rock, ma a sentire quei tre-quattro nomi e finiva lì. Stranamente oggi il clubbing ha perso terreno sempre di più a favore di uno spettacolo diversificato, come quello di Cosmo o Motta, che sta, tassello per tassello, prendendo quasi tutti i locali. Sono curioso di vedere come andrà a finire.
Appino: Finirà che moriremo tutti, lo sappiamo già.
Ufo: Le discoteche facevano 5000 persone e nei concerti solo in pochi potevano fare quei numeri. Ora la discoteca è una cosa quasi residuale. Sono cambiati i luoghi di aggregazione. Prima era uno dei pochi divertimenti che c’erano, non c’era altro da fare, mentre ora la discoteca è considerata sinonimo di tamarro. Si preferisce andare ai concerti.
E cosa ne pensate invece dell’attenzione dei media nei confronti della scena indipendente?
Appino: Indipendente da cosa? Prima o poi voglio scrivere un manifesto. Non esiste. È una minchiata che è nata anni fa.
Karim: La definizione è nata negli anni ’80 per definire tutto il sottobosco musicale americano.
Appino: Adesso in Italia va di moda dire indie di qualsiasi cosa che non sia Tiziano Ferro, che ha tutto il diritto di esistere. Sbagli meno se dici alternativo. È musica italiana, non è che quando Lucio Dalla sperimentava cose assurde diceva “faccio indie”, era musica italiana. Tra vent’anni o trent’anni verrà tuo figlio e metterai su un disco di quando eri giovane e non dirai “quando ascoltavo indie”. Ascoltavo la musica italiana con cui sono cresciuto, con cui avrò ricordi e su cui piangerò, o riderò, o ballerò, o mi vergognerò. Magari ti vergognerai e dirai “che testa di cazzo che ero”. Questo è un dato di fatto. Però indipendente da che? L’attenzione c’è perché è cambiato completamente il mondo dello spettacolo e il mondo nostro fa più numeri di quelli televisivi dal vivo, magari altrove meno. Adesso sta anche entrando in radio, perché alcune entità, che pare vengano da questo mondo incredibile, sono in radio, quando in realtà che ci sia “Completamente” dei Thegiornalisti in radio è normalissimo, visto che è un mega pezzo pop. Chi ci deve andare in radio? È un pezzo pop come avrebbe fatto Luca Carboni ai tempi d’oro. Calcutta uguale, “Oroscopo” di Calcutta è un pezzo pop, è normale che sia in radio.
Ufo: Se uno lo vuole chiamare indie per togliersi il senso di colpa è un altro discorso. Ma è una stronzata.
Appino: È musica pop come quella che facciamo noi, ma poi ci sono contratti con le major da anni. Chi stiamo prendendo in giro?
Ufo: Possiamo dire indipendente relativamente al modo in cui uno lavora.
Appino: Se ci chiamano in televisione a suonare un brano ci si va. Perché lo fanno? Perché dopo 18 anni facciamo più numeri a un concerto di quelli che hanno vinto X Factor. Noi abbiamo sempre detto che facciamo pop.
Forse si intende indipendente dai talent?
Appino: Andrà a finire così. Quando cominceranno ad andare ai talent portando canzoni come “Non voglio ballare” degli Zen Circus gli diranno “sei sicuro?” Non è questa cosa qui essere indipendenti, è la costanza e l’amore con cui si fanno le cose, per sé e non per altro. Prendi gli Zen. Noi facciamo 70 date all’anno cercando di essere capillari e toccare tutte le regioni. Per fare questo vai nei club. Che percezione avreste voi della nostra band se non avessimo fatto così, ma avessimo fatto 3 o 4 date nei palazzetti? Avremmo fatto sold out nei 4 palazzetti e voi avreste detto “wow gli Zen sono diventati enormi”. No tesoro, è meno gente di quella che facciamo nei club. È quindi tutta una questione di percezione mediatica. Se noi fossimo gestiti da un management di quella mentalità, avessimo vinto un talent, o magari il nostro pezzo fosse andato in radio e avesse funzionato e facessimo 4 palazzetti, voi direste “wow”, noi guadagneremmo un decimo, chi lavora con noi guadagnerebbe un decimo, non lavorerebbe con noi ma sarebbe un mercenario, invece in questo modo si crea una famiglia. Questo se vuoi possiamo chiamarlo essere indipendente, ma non è indipendente, è umano e logico. Vieni a vedere il concerto degli Zen e capisci di cosa stiamo parlando.
Ufo: la si potrebbe chiamare musica artigianale.
Appino: Anche quel termine mi sta sul cazzo. È musica italiana. Detto questo è tutta una questione di percezione. Questa cosa la sta facendo Lo Stato Sociale, che ha detto “cosa facciamo? Facciamo il forum a Milano, fra due mesi sarà sold out, è prevedibile, e quindi sarà una cosa di marketing grossa per l’estivo”. Noi siamo di quest’altro avviso, pur rispettando questa scelta, che hanno fatto anche i Thegiornalisti, che hanno fatto 8 date, ne faranno due nei palazzetti, per cercare di entrare in quel mondo lì, che io strarispetto. Noi facciamo un’altra scelta. Ci annoiamo a casa! Ieri un ragazzo a Messina mi ha detto “meritate di più”. Bello mio a Messina se ci vuoi suonare suoni lì, che problema c’è. Vuoi che ci meritiamo di meglio? Ok, quest’estate facciamo una data estiva strapagata con venti euro di biglietto. È la mentalità del successo che è sbagliata. Comunque è fuorviante. Ti faccio un altro esempio autoelogiativo, ma non te lo racconto per parlare di noi. “Canzoni contro la natura” è uscito nella settimana in cui escono i dischi di Sanremo, vinse Arisa e il suo disco arrivò sotto al nostro in classifica. Se tu chiedi chi è Arisa a chiunque sa chi è, se dici Zen Circus invece la gente ti dice “chi?” È sempre una questione di popolarità o una questione di percezione di quella che è la popolarità. Ai concerti ad Arisa facciamo un culo così, con tutto il rispetto per questa persona; è quanto è famosa lei, ma noi non vogliamo essere famosi come lei, vogliamo essere leggendari, che è un’altra cosa.
Karim: …e fare una morte esemplare e leggendaria. Faremo una morte stoica in linea con questo progetto di rimanere leggendari. O forse una morte stupida. Emorragia per il morso di un topo, caduta da un tandem, moriremo giocando al minigolf o cadendo dalla bicicletta da fermi.
Una canzone mi ha colpita particolarmente, “Pisa merda”. Con questo pezzo ci raccontate la provincia e l’amore e non amore nei suoi confronti…
Appino: Pisa merda ce lo dicono da quando siamo nati. Quale band, quale artista, chi più di noi poteva chiamare una canzone “Pisa merda”. Parla dell’amore e odio nei confronti della provincia, che come disse Ufo in una splendida frase, il mio lavoro è citare Ufo, la provincia ci ha donato Cesare Pavese, ma anche i sassi dal cavalcavia.
Ufo: È un luogo ambivalente in cui si creano cose di eccellenza, ma anche cose di mostruosità. C’è chi vuole scappare e chi vuole tornare.
Appino: C’è chi scappa e ce la fa, c’è chi scappa e poi torna. È la città dove siamo nati. D’altronde quante band hanno dedicato canzoni alle città dove sono nate? A noi è toccato quello, noi non potevamo fare altro che quello.
Ufo: Con lo spirito che abbiamo noi non potevamo fare altro.
Appino: Se scrivi Pisa su google e fai lo spazio esce Pisa merda, Torre di e Zen Circus, queste sono le tre cose che il mondo sa di Pisa.
Ufo: Non potevamo farla encomiastica, come Venditti che ha fatto “Grazie Roma”. Era impossibile. Venditti giustamente, da uomo sensibile qual è, ha fatto “Grazie Roma”, dove senti la passione per la sua città. Pisa è esattamente com’è la canzone, non è che se la merita, è così.
Karim: Se tutti dicono “Pisa merda” in giro per il mondo un motivo ci sarà.
Ufo: Stai tutta la vita a scappare. Voi siete di Catania e vi sentite già capitale.
Appino: Gli Zen dopo 18 anni sono sempre più scappati di casa, proprio per non morire a Pisa, ma alla fine ci moriranno. Tornerò per un documento e morirò in Via delle medaglie d’oro. Che tristezza. Basta che sia una morte leggendaria!
Egle Taccia