Abbiamo incontrato Davide Iacono per conoscere meglio l’ultimo lavoro in studio dei Veivecura, “ME+1”, che già dal titolo svela una new entry nella band, Milo Isgrò, che ha colorato di ritmo le melodie dalla formazione.
Hai una storia importante alle spalle. Ce la racconti?
È nato tutto un po’ per magia, già dall’inizio. Il primo concerto che ho fatto al pianoforte nel 2009 (prima suonavo la batteria in una band), al Teatro Garibaldi di Modica, che è la mia città natale, era in apertura al concerto di Umberto Maria Giardini, che all’epoca ancora si chiamava Moltheni. Durante la serata lui mi ha notato e sono cominciate una serie di cose nella mia carriera musicale. Ho cominciato a collaborare con lui, poi sono successe tante cose, dei tour europei, ho conosciuto artisti internazionali, ho vissuto anche all’estero per seguire dei progetti cantautorali tedeschi. Il mio passato è abbastanza costellato di momenti positivi, spero che succederà qualcosa di bello anche in futuro.
Questo album è un po’ diverso dagli altri e vede una partecipazione nuova nella band…
Sì, adesso abbiamo un batterista, si chiama Milo Isgrò. Viene da Barcellona Pozzo di Gotto, noi invece siamo modicani. Grazie anche al suo apporto il disco ha una ritmica molto più forte e presente. Decisamente questo disco è diverso da quelli del passato, non so se definirlo fresco, ma sicuramente è più acceso, si spinge molto più sull’elettronica. Abbiamo sperimentato molto, avevamo voglia di lasciare indietro la malinconia, che era il sentimento principale della nostra musica e pensare ad altro di più accattivante, anche divertente. Per noi è strano scrivere brani divertenti. Adesso sul palco ci divertiamo un sacco. È un periodo, sicuramente torneremo anche indietro a ripescare della malinconia, della nostalgia.
Molti vi hanno accusato di essere diventati troppo pop. Essere pop è davvero qualcosa di cui vergognarsi oggi?
Secondo me assolutamente no. A me piace tantissimo il pop, piace anche più del rock. La questione è come tu artista affronti un genere musicale. C’è pop e pop. Puoi scrivere “Riccione” e farti una valanga di soldi oppure puoi scrivere una canzone pop di grande gusto e rimanere nel tuo angolino. Poi magari ci sono anche delle vie di mezzo. Noi stiamo cercando di lavorare alla via di mezzo. Non è semplice, non è affatto semplice. Il nostro target rimane quello alternativo, quindi questa svolta pop non è stata assolutamente fatta per l’audience. Rimaniamo sempre nel nostro piccolo spazio, il piccolo orticello lo coltiviamo, ci divertiamo e si va avanti così.
Per te cosa vuol dire essere alternativo?
Se parliamo di musica alternativa, per me è quella che non è seguita dalla maggior parte delle persone. Quella musica per cui magari devi stare lì a metterti le cuffie, ad ascoltarla bene; quella musica che magari ascolti la prima volta e non ti piace, la seconda la prendi in considerazione e la terza comincia a piacerti tanto. È una musica forse più pensata, meno diretta.
Com’è fare musica dalla Sicilia? E’ più complicato, siete penalizzati, oppure è un valore aggiunto?
Da una parte è sicuramente un valore aggiunto, perché penso che la Sicilia mi abbia dato tantissime ispirazioni. Dall’altro lato purtroppo siamo tagliati fuori da molte situazioni, soprattutto dal punto di vista live. Noi rinunciamo al 50% delle proposte che ci vengono fatte perché economicamente è impossibile partire da Modica e farci 15 ore di macchina, o anche 2, per una data singola. Noi partiamo solo per dei mini tour, però magari ti chiamano per un festival e tu non puoi andare perché hai anche la tua vita e devi pensare a te stesso. Sto iniziando adesso a pensare un po’ a me stesso, prima pensavo solo alla musica e mi sono un po’ stancato.
Pensi di trasferirti, un giorno, per portare avanti il progetto?
Penso di no, l’ho fatto una volta. Mi sono trasferito in Germania anche se era per seguire altri progetti. Adesso non mi trasferirei per la musica, neanche per un lavoro, mi trasferirei solo per amore.
Il tuo sogno nel cassetto?
Il mio sogno nel cassetto è quello che coltivo da quando avevo 14 anni, da quando ho iniziato a suonare, ovvero lavorare con la musica. Ancora non sono arrivato all’obiettivo, ma mi ci avvicino passo dopo passo, lentamente…ma meglio avvicinarsi che allontanarsi.
Intervista a cura di Egle Taccia