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No New – Alex Munzone e il suo primo disco “Ku Klux Kadeau in Opera”

Ho fatto una piacevole chiacchierata con Alex Munzone, già membro dei Diane and the shell, che ha pubblicato il suo primo disco solista dal titolo KU KLUX KADEAU IN OPERA, un gioco di parole che racconta l’intolleranza dei nostri tempi.

 

Puoi spiegarci il significato del titolo del tuo primo album “KU KLUX KADEAU IN OPERA”?

Il titolo del disco “KU KLUX KADEAU IN OPERA” è un gioco di parole che riassume le forti tinte d’intolleranza (riferimento all’organizzazione Ku Klux Klan) di cui è pervaso l’atteggiamento quotidiano dell’umanità che ne elargisce i contenuti con la stessa gioiosa frenesia con la quale concederebbe un regalo (regalo in francese si dice appunto Cadeau).

 

 Com’è nato questo lavoro e cosa ti è piaciuto maggiormente della collaborazione con Giuseppe Schillaci, che ha prodotto il disco?

Avevo necessità di provare a confrontarmi con le mie capacità, ho provato a farlo fino in fondo, senza alcuna paura e mettendo in conto la possibilità di sbagliare, o forse ho lavorato inconsciamente proprio per trovare la possibilità di errare nel miglior modo possibile. Lavorare ad un disco interamente generato da te è come mettersi a nudo manifestando e prendendo coscienza dei propri limiti e qualità, ed è certamente un momento di crescita. Le tracce strumentali e la scrittura del testo dei vari brani sono stati completati in 28 giorni, il restante tempo è servito per registrare coerentemente la voce ed in questo è servito l’apporto di Giuseppe Schillaci, che con la sua esperienza è riuscito ad amalgamare il tutto.

 

Sei membro della band “Diane and the shell”, che attualmente sta registrando il quarto lavoro discografico. Com’è stato l’approccio solista? Ti è piaciuto?

Con i Diane abbiamo già registrato l’ultimo disco che dopo vari processi di missaggio verrà alla luce a breve. Un album che finalmente si comporrà dopo anni di impegni extra musicali. Con “Ku Klux Kadeau in Opera” ho avuto la possibilità di confrontarmi direttamente con i parametri della composizione, attraverso una presa di coscienza e responsabilizzazione individuale e mai statica. Lavorando in una band consolidata come i Diane è più semplice venire a capo di molte questioni compositive, perché si mettono sul tavolo le idee di ognuno e si avanza per gradi. Lavorando da solo l’unica questione in atto sei tu stesso e le esperienze personali che hai acquisito negli anni, auguro ad ognuno di provare almeno una volta nella vita l’esperienza solista perché, qualunque sia il risultato, sicuramente si ha la possibilità di conoscersi meglio attraversando le barriere dei propri limiti e ricercando le eventuali qualità.

 

Sei un musicista catanese. Raccontaci com’è cambiata la città in questi anni e se ancora ti piace viverci.

Catania è soltanto la fine dell’eco di una voce che proviene da molto lontano, se l’origine di quella voce è il canto dall’aria “Sola, perduta, abbandonata” dalla Manon Lescaut di Puccini cantata da Anna Netrebko, Catania è quel pezzo di eco sbiadito che arriva, se al contrario l’origine della voce è un rutto, Catania è l’eco del rutto. Non faccio il moralista, lascio ad ognuno di noi la possibilità di comprendere e accettare cosa sia meglio, ammetto che il rutto ha il verace fascino della potenza ancestrale. Mi piace vivere a Catania perché è talmente opprimente che ogni giorno si rinnova la sfida all’incommensurabilità della follia. Non credo alle città, che per me devono solo essere piazze, spazi di generazione, ma alle individualità del luogo.

Cosa pensi della musica italiana contemporanea? I giovani artisti e le band possono secondo te emergere in questo periodo storico?
Il panorama musicale, e non solo quello italiano, è talmente vasto che improvvisare un qualsiasi pensiero può solo essere limitativo, quindi per comprendere la questione, a mio modesto avviso, bisogna approcciarsi utilizzando l’intuito. Intuitivamente posso affermare che la sperimentazione non è più sistema. Da qui parto provando a formulare un pensiero attraverso una domanda ed una successiva risposta; mettendo da parte le eventuali questioni politiche a monte e le scelte economiche delle multinazionali del settore, se la sperimentazione non è più sistema, il sistema cos’è? è la persecutoria incapacità di possedere coraggio nel programmare un processo di ricerca, prima di tutto rivolto verso se stessi, soprattutto perché si ha paura dell’errore, non capendo che è proprio da questa proprietà che spesso sono partite le più grandi intenzioni espressive che l’uomo abbia mai conosciuto. Appurato ciò posso affermare che giovani artisti e/o una qualsiasi band hanno una grandissima possibilità di emergere, a patto che non cadano nell’errore, nella ricerca (quindi nella sperimentazione), possono farcela simulando organicamente la qualsiasi cosa trita e ritrita. Se alle cose elencate metti che oggi ognuno ha la possibilità di elargire i propri gusti musicali discernendo da qualsiasi logica e ponendosi come il migliore conoscitore della materia, mi verrebbe da dire (e anzi lo dico convinto della scelta) che era meglio quando il musicista lo selezionava l’editore con l’equipe d’esperti a seguito, con l’intento di finanziarne le composizioni deputate a deliziare il regale orecchio di nobili e principi dediti a sfilacciare, a teatro, l’ultima coscia di pollo troppo cotta

 

Fabrizio De Angelis

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