Un tranquillo professore che di notte indossa i panni del jazzista cantautore: a voler fare anche noi i complottisti, è facile immaginare Davide Zilli come una sorta di dottor Jekyll/mister Hyde della musica. In realtà, l’artista piacentino è un giovanotto simpatico che si destreggia con uno stile tutto suo che unisce il grande jazz americano, il cantautorato italiano ed una personalissima ed acuta ironia che nasce dalle sue esperienze come studente e professore.
Dopo qualche anno di gavetta, passato a suonare in diversi locali principalmente nel nord Italia, Davide ha ottenuto negli ultimi anni importanti riconoscimenti prima con il videoclip della sua versione del classico “E la vita” – il brano di Cochi e Renato scritto da Enzo Jannacci -, poi con il trionfo nell’edizione 2018 della rassegna Musicultura. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo in vista della pubblicazione del suo terzo album
Ciao Davide, è passato un po’ di tempo da “Il congiuntivo se ne va”, tuo ultimo album ormai datato 2015. Nel frattempo non sei rimasto con le mani in mano, come ha dimostrato la tua vittoria all’edizione 2018 del premio “Musicultura”, hai fatto tanti concerti in contesti significativi ed ora ecco il tuo nuovo singolo “Il complottista”: il 2019 ci porterà finalmente un tuo nuovo disco?
I pezzi sono già pronti, sicuramente in autunno arriveranno un nuovo singolo e un nuovo video, per il disco stiamo valutando varie tempistiche e opzioni possibili, tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo.
Come ti è venuta l’idea di realizzare un pezzo con Mirko Casadei e la sua orchestra? Nel video appare come ospite nientemeno che il mitico Raoul: è stato facile convincerli a dar vita a questa collaborazione?
Amo i dischi che travalicano i generi, quei prodotti di cui non sai davvero dire a che ramo appartengano, quindi cerco spesso di mischiare mondi apparentemente inconciliabili, in questo caso cantautorato e liscio. Mirko porta avanti il suo progetto musicale con molta intelligenza e sensibilità, bilanciando la tradizione ereditata dal padre con nuove contaminazioni, e si è mostrato da subito interessato a questa canzone, mettendo a disposizione la propria bravura e quella dei suoi eccellenti strumentisti.
Questo modo di unire una musica tradizionale e spensierata come il liscio della riviera romagnola a tematiche attuali come il complottismo – nel testo si parla di rettiliani, 11 settembre, CIA e nel video sono tante le sottili citazioni cinematografiche, in primis la tua mise à la “Man in Black” – ci ha parecchio divertiti. Ma il complottismo, secondo te, è qualcosa di assurdo da smontare con ironia come fai tu o una forma di alienazione di cui preoccuparsi?
Beh, direi un po’ entrambe le cose, come del resto tanti altri aspetti della realtà quotidiana. Erano anni che volevo scrivere un pezzo sul tema, ma mi pareva ci fosse sempre qualcosa che non andava, ed era questo: in fondo non mi andava di fare un semplice pezzo di satira sul complottismo, così ho ribaltato il tutto, immaginando un pezzo su un amore finito che usasse le metafore complottistiche come mezzo e non come fine.
Nel frattempo, continui a lavorare come professore, ed ormai ti trovi ad aver a che fare con una generazione di nativi digitali: come ti rapporti con loro? Ci piacerebbe capire se i tuoi alunni conoscano lo Zilli musicista e quanto essi siano di ispirazione per lui.
In generale ho un buon rapporto con loro. I primi tempi la doppia vita mi imbarazzava un po’, ma poi ho capito che non c’era nulla di cui vergognarsi, e ora svelo tutto fin dal primo giorno in cui mi presento in classe. Qualcosa di mio lo ascoltano sul web e credo che la cosa li incuriosisca, dopodiché vai a sapere se quello che faccio può piacere a un adolescente…
I ragazzi di oggi ascoltano principalmente generi come il rap o la trap, che adottano linguaggi quantomeno particolari, ed il modo di comunicare attraverso il web ed i social sta inevitabilmente influenzando il gergo quotidiano. Come vedi l’evoluzione del linguaggio legata a questi nuovi generi e media? Trovi che “il congiuntivo ormai se ne sia andato”, per citare un tuo brano o che la lingua stia semplicemente cambiando secondo il corso naturale delle cose?
Mah, direi che i ragazzi ascoltano principalmente il rap e i suoi sottogeneri perché per anni il sound proposto nelle radio è stato convogliato in quella direzione, anche nel caso di artisti che c’entravano poco con l’hip-hop e che sceglievano di farsi comunque produrre dal Timbaland di turno. C’è stata una specie di hip-hopizzazione generale di tutti i generi musicali. Non ci vedo niente di male, l’hip-hop è un genere che ha al suo centro la parola, e vi si trovano anche testi decisamente più stimolanti di quelli di tanti cantautori o cantanti pop-rock. Diciamo che la lingua e la musica stanno cambiando secondo il corso naturale delle cose, laddove per “cose” bisogna intendere “mercato”.
Questo tuo doppio ruolo di cantautore ed insegnante ci sembra un punto di osservazione privilegiato, perché hai modo di osservare criticamente sia la società in cui sei cresciuto sia quella che tu stesso stai contribuendo a far crescere. Noti entusiasmo e speranza nei tuoi ragazzi o sono altri sentimenti a prevalere in loro?
È una domanda che mi fanno spesso, ma che non può avere una risposta univoca. In una singola classe si trovano tantissime sfumature diverse, e da classe a classe, da scuola a scuola, da provincia a provincia, il quadro può cambiare moltissimo. In generale bisogna ricordarsi che la scuola non è l’unico luogo di formazione, ma agisce in triangolazione con la famiglia e la società. L’atteggiamento dei ragazzi, qualunque esso sia, è il risultato di questo insieme. I giovani assorbono come spugne gli input che ricevono dagli adulti, quindi saranno quello che noi vogliamo (o lasciamo) che siano. Infatti quello che mi preoccupa, sinceramente, non è lo stato di salute dei ragazzi, ma molto più quello dei “grandi”.
Il video di “E la vita, la vita” ha raggiunto una buona notorietà, grazie all’attenzione rivolta dal “Corriere della Sera” che appena uscito lo pubblicò sul suo sito. In molti hanno apprezzato il modo in cui sei riuscito a far tua una canzone a cui tante persone sono affezionate: cosa hai cercato di mettere di tuo in essa, rispetto alla versione cantata da Cochi e Renato?
I testi di Jannacci (e in questo caso Beppe Viola, non accreditato) hanno sempre tra le righe una vena di dolore più o meno esplicita. “E la vita, la vita” è un pezzo apparentemente spensierato, che però nasconde un sottile mal di vivere, mai davvero detto ma lasciato intendere, ed è appunto questa “cognizione del dolore” che ho cercato di far emergere con la mia cover.
Pur vivendo in un capoluogo di provincia, è stata Milano il tuo riferimento per la formazione musicale – penso a un vecchio brano come “Provinciopoli” – ed infatti è proprio nel Conservatorio meneghino che hai studiato. Sono sempre Gaber, Jannacci e i cantautori milanesi il tuo principale riferimento o nel frattempo sono scoppiati nuovi amori musicali per cui potremmo aspettarci uno Zilli completamente diverso nel prossimo disco?
Anche se a volte mi accostano a loro non sono mai stati i miei riferimenti. So che è esecrabile, ma fino ai 30-35 anni ho parecchio snobbato la musica italiana in generale, e di questi artisti non conoscevo quasi nulla. Nei miei primi live non sapevo se avrei avuto abbastanza pezzi per riempire la serata, quindi presi l’abitudine di raccontare storie o fare battute tra un pezzo e l’altro per allungare il brodo. Poi vennero a dirmi che quello che facevo ricordava il teatro canzone, Jannacci, ecc. e con gli anni ho capito di essere arrivato a fare quella cosa per tutt’altra via e inconsapevolmente. Quindi vedo i nomi che hai citato più come compagni di viaggio, che ho scoperto solo a un certo punto di avere al mio fianco. Quanto ai miei nuovi amori, tendo ad ascoltare cose diversissime da quelle che faccio, quindi mi è difficile dire se e quanto di queste venga filtrato poi nella mia musica. Negli ultimi mesi ho approfondito gruppi che prima conoscevo di striscio, come Foster the people o MGMT, e nel nuovo disco – che sto producendo con Riccardo Di Paola – abbiamo usato un po’ più elettronica, ma non credo ci sia una vera connessione tra le due cose.
Colpisce sempre la malinconia di fondo dei tuoi testi, che si stempera comunque in un sorriso ironico: è un modo di comporre figlio del tuo amore per il cantautorato milanese o qualcosa di più legato alla tua personale sensibilità?
Sicuramente è legato al mio modo personale di vedere il mondo. Prendere le distanze con un sorriso, da qualunque cosa, è un modo per sopravvivere, e anche in ambito artistico tendo a preferire le opere che mi lasciano un gusto dolceamaro in bocca. “In ogni terribile epoca storica si può vedere un uomo, seduto in disparte, intento a intrecciare collane di perle”. Lo disse Paul Valery (sto citando a braccio), e credo che ogni artista debba concentrarsi sulle perle, non importa quanto brutto possa essere il suo tempo.
Sappiamo che stimi artisti stranieri come Elvis Costello e in ogni caso adori i grandi del jazz: hai mai provato a scrivere qualcosa in Inglese o in altre lingue?
Assolutamente no. Anche se conosco bene l’Inglese, non riuscirei mai a cimentarmi in un’altra lingua, per quanto amata, semplicemente perché ci sono troppe sfumature che non saprei controllare, troppo lavoro di lima che per inciso mi dà già dei grossi grattacapi in Italiano.
Domanda NonSense: vacanze estive di relax in montagna, magari sull’Appennino emiliano, o via di corsa a spassartela sulla riviera romagnola?
Montagna già fatta (in Trentino), a breve Sardegna. In generale vacanze poche quest’anno, anche perché sto finendo l’album nuovo, ma il mio sogno è tornare prima possibile in Giappone, un Paese meraviglioso che mi ha cambiato la vita.