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No New – “D’un tratto”, il nuovo disco di Eugenio Rodondi

D’un tratto è il nuovo disco di Eugenio Rodondi,  cantautore torinese classe 1988. L’album è stato prodotto da Nicola Baronti per Phonarchia Dischi e distribuito da Dewrec.

Abbiamo chiacchierato un po’ con l’artista per scoprire meglio ogni aspetto di questo lavoro.

“D’un tratto” è un album che parla di certe dinamiche delle relazioni di coppia, ma se si va un più a fondo il centro di tutto è fondamentalmente il cambiamento. Confermi?

Confermo. Il nocciolo della relazione di coppia è anche il cambiamento. Se un individuo stesse bene e fosse sereno in tutto e per tutto così come è stato fatto, rimarrebbe solo. Invece l’uomo, più o meno con l’arrivo dell’adolescenza, scopre di avere bisogno di qualcuno oltre a se stesso ed alla sua famiglia con cui creare una coppia (duratura o meno, di un sesso diverso o dello stesso). Questa cosa non ho ancora capito perché succeda, si cerca qualcosa per trasformare la propria forma per diventare completi o per annullarsi del tutto, per essere complici, complementari o per mille altri motivi. In ogni caso, per andare incontro al cambiamento di sé.

Il disco poi è diviso in un lato A e in un lato B, ti va di descriverceli?

Sì, la scelta della “scaletta” del disco è una cosa strana. Tu hai 9 canzoni, le registri in ordine tendenzialmente casuale, quindi quando le ascolti in studio ti abitui ad un disordine costante, cerchi di legarle ma non è così scontato. Ogni scelta che prendi contempla un rimaneggiamento. Ho voluto metterle in ordine per raccontare la storia di una coppia, che si innamora d’estate e si lascia nel giro di un anno. Di conseguenza nel lato A ci sono gli investimenti e le speranze che tutte le coppie bene o male vivono, una sorta di salita verso un punto alto. Arrivati alla cima di questo vertice virtuale bisogna girare il disco, e ci si trova in una discesa, il disinvestimento, i dubbi e gli errori che ti fanno rotolare al punto di partenza, che coincide con la fine del disco.

Non è un caso che l’album si apra con un pezzo in cui sta finendo l’estate e si chiuda con un temporale estivo, dove tutto ricomincerà da capo. Aggiungi il fatto che un disco è anche fatto di forma rotonda, quindi il gioco della ricorsività viene anche facile.

Pur parlando di argomenti noti, i tuoi testi non cadono mai nella banalità. Quanto studio e ricerca ci sono dietro?

Lo studio è fatto di cose che già esistono, lo studio è un alfabeto già noto a cui appassionarsi e che se si ripete più volte si impara ad usare. La ricerca ti porta invece ad utilizzare lo studio per scoprire (o creare) cose nuove. Diciamo che lo studio c’è nell’ascoltare e leggere cose di altri che ti stimolano e ti aiutino a crescere, la ricerca la faccio io con ogni canzone. Una volta finita la pubblico. Come una ricerca scientifica, può essere valida o meno, può funzionare o no, ma in ogni caso oltre allo studio ed alla ricerca c’è tanta riflessione, tanti rimaneggiamenti e correzioni. Per me l’equilibrio di un testo è quasi un’ossessione. Purtroppo nella musica investo molto meno energie.

Per quanto riguarda l’aspetto musicale siamo di fronte ad una fusione di pop, elettronica e cantautorato. Sei soddisfatto del risultato finale?

Son soddisfatto ma potrei esserlo di più. Mentre registro, le cose mi piacciono, quando il disco è finito, forse per il fatto che non possa più essere modificato, divento piano piano sempre meno soddisfatto, cambierei quasi tutto. Meno male esistono i concerti dove puoi permetterti questo gioco che nel disco non puoi fare. Poi per fortuna ci sono album che io ritengo perfetti, ma sono di altri artisti, io dischi di cui sono totalmente soddisfatto non ne ho ancora scritti.

A che età ti sei avvicinato alla musica e grazie a chi?

Mi sono avvicinato alla musica, e probabilmente anche ai testi, da piccolo. Ascoltavo molto volentieri una cassetta che i miei mettevano spesso in macchina, nei viaggi, e la conoscevo a memoria, la cantavo con mio fratello, quasi coetaneo. È un disco di Sergio Endrigo e Gianni Rodari, un disco apparentemente per bambini, ma che contiene delle verità talmente universali e semplici che credo vada approfondito anche da adulti. Ci sono passaggi come:

“tanta gente non lo sa

non ci pensa e non si cruccia

ma la vita la butta via

e mangia soltanto la buccia”.

Poi da più grande mi sono appassionato al cantautorato italiano e credo che da lì sia partito tutto.

“D’un tratto” la definirei un po’ una metafora della vita: se si vive davvero ci sarà sempre un motivo che ti farà cambiare strada, sbagliare, ricominciare. Sei d’accordo?

Sì, sono d’accordo e hai compreso perfettamente il senso della canzone. Sarebbe sciocco da parte mia ripeterlo, l’hai spiegato talmente bene in questa domanda che probabilmente la userò come risposta quando mi chiederanno il significato del brano.

Domanda Nonsense: il miglior modo per sfogarsi?

Per me è essere iperattivo. Io mi sfogo facendo tantissime cose, spesso non finalizzandone neanche una. Ho una concentrazione bassissima e mi innamoro costantemente di ogni cosa. Questo non è un aspetto di cui vantarmi, diciamo che sfogo la frustrazione e la paura di non riuscire a far tutto quello che vorrei (non solo in ambito musicale) facendone diecimila. Mi piace cucinare, costruire, progettare, mangiare e avere anche gli amici. Ecco, diciamo che forse il migliore modo per sfogarmi è vedere le persone più amiche, cosa che appena posso faccio. Tendenzialmente con una cena.

Intervista a cura di Cinzia Canali

Written By

Cinzia Canali nasce a Forlì nel 1984. Dopo gli studi, si appresta a svolgere qualunque tipo di lavoro, ama scrivere e ha la casa invasa dai libri. La musica è la sua passione più grande. Gira da sempre l'Italia per seguire più live possibili, la definisce la miglior cura contro qualsiasi problema.

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