Holograph, progetto solista di Dario Marturano, non vuole essere solo un progetto musicale ma un’unione tra arti e scienze diverse, in cui il suono incontra il design, l’elettronica e l’informatica: questo è l’inizio della biografia di Holograph, che ci ha incuriosito moltissimo. Abbiamo voluto saperne di più e l’abbiamo intervistato.
di Eleonora Montesanti
Dario, è nata prima la passione per la scienza o per la musica?
Difficile da capire, ho cominciato a suonare la chitarra classica all’età di 9 anni, età in cui mi dilettavo anche a creare compilation su musicassetta di brani registrati dalla radio (in quel periodo andava alla grande Corona) e album di mio padre, dai Beatles alle colonne sonore dei film.
Mi piaceva anche molto andare in biblioteca da mia madre, dove lavorava, e mi portavo a casa libri di esperimenti con l’elettricità, chimica e calamite.
Diciamo che le due passioni sono nate circa in contemporanea ma fino ad ora erano sempre rimaste separate.
Il tuo progetto ha un nome che, in italiano, significa olografo. Come un testamento scritto di proprio pugno. Qual è il significato che gli dai tu?
Un significato è quello che hai scritto tu, la mia musica è appunto completamente scritta e suonata da me, di mio pugno.
Un secondo significato che ha la parola “holograph” è ologramma… e penso che la mia musica, come un ologramma, cambi in base alla prospettiva dell’ascoltatore. A volte io stesso tendo a preferire alcuni brani rispetto ad altri solamente in base all’umore che ho in un particolare periodo.
Il tuo ep d’esordio è uno straordinario incontro tra musica elettronica (e acustica), scienza e nuove tecnologie. Come è legato tutto ciò?
Beh, anche la musica ha una componente scientifica, si parla di frequenze, armoniche, frazioni, ci sono un sacco di regole sotto quasi matematiche. Per non parlare dell’elettronica in cui il lato scientifico della musica è ancora più accentuato con l’utilizzo di forme d’onda, filtri, ecc… il compito dell’artista è farsi padrone di questi strumenti e utilizzarli per creare qualcosa di semplice, comprensibile e gradevole potenzialmente a tutti. Io ho provato a fare questo sia con la musica che con le luci.
Più in generale, credi nell’annullamento dei confini tra arti e discipline?
Tutte le arti bene o male hanno dei punti di congiunzione, la musica, la danza, la pittura, la fotografia, basta solo trovare il migliore collegamento e saperlo utilizzare al meglio. Per quanto mi riguarda ho unito la musica con quello che potremmo definire interaction design.
La tua arte trova la sua miglior espressione dal vivo. Cosa rappresenta per te il palcoscenico?
Il palcoscenico è il luogo in cui artista e pubblico possono dialogare, scambiarsi reciprocamente emozioni. La mia musica, già in fase di composizione, la penso come verrà dal vivo, chiudo gli occhi e immagino di suonarla su un palco e a volte addirittura penso al gioco che dovranno fare le luci.
Quali sono state le ispirazioni che ti hanno accompagnato durante la fase embrionale e creativa dei pezzi dell’ep?
Mi ha ispirato l’ascolto di alcuni artisti vecchi e nuovi, potrei citare Crystal Castles, Bloody Beetroots, Flume, Goldpanda, Odesza e molti altri… poi in realtà se li ascolti sembra che abbiano poco a che fare con quello che faccio, boh, probabilmente ho rielaborato molto.
Se la tua musica avesse un colore, quale sarebbe? Perché?
Anche se non è propriamente un colore ti direi “scala dei grigi” …nasconde i difetti e sta bene con tutto.
E se fosse uno dei cinque sensi, quale sarebbe? Perché?
Parlando di musica dire l’udito sarebbe scontato… quindi dato che sono accompagnato da un’installazione luminosa ti dico la vista. Se uno venisse ad un mio live vorrei tornasse a casa dicendo: “sono andato a VEDERE Holograph”.
Progetti per il futuro?
Ho già scritto 5 brani per un possibile album, spero di ultimarlo entro fine dell’anno. Se riesco in primavera potrei già far sentire qualcosa. Ad ogni modo durante i miei live darò già qualche anticipazione, venite quindi a vedermi 😉
