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No New – Davvero il tempo è denaro? “Tempus Fugit”, il nuovo disco di Maria Devigili

Ha collaborato e aperto i concerti di moltissimi artisti (Tre Allegri Ragazzi Morti, Cristina Donà, Eugenio Finardi, Paola Turci, Cristiano Godano, Umberto Maria Giardini, OfeliaDorme, Claudio Lolli e altri), nel 2015 Rockit l’ha inserita nella lista delle 10 miglior cantautrici italiane emergenti e nel 2017 il videoclip del brano “La Trasformazione” ha partecipato ai 60th Grammy Awards. L’artista in questione è Maria Devigili, cantautrice  e chitarrista trentina. A febbraio è uscito il suo nuovo disco, Tempus Fugit, prodotto con la collaborazione di Giuvazza. Un invito al riappropriarsi del proprio tempo buttando l’orologio e vivendo il presente, ma non solo, si parla anche dell’arte della pazienza, di evoluzione, nostalgia, reincarnazione…

Questo continuo correre contro il tempo dove ci sta portando?

Correre contro il tempo ci porta a non vivere veramente e paradossalmente a perdere tempo perché se non si vive veramente perdiamo solo tempo.
Vivere veramente per me è vivere il presente, essere un tutt’uno con quello che si fa. Vivere il presente può sembrare la cosa più semplice del mondo e invece è la più difficile perché con la mente siamo sempre proiettati al passato o al futuro.

Quando arriva il momento ogni luogo è giusto, canti nella title-track del disco, e torniamo un po’ al discorso di prima, si rischia di non vederlo nemmeno quel momento intenti come siamo a guardare sempre oltre, non trovi?

Potremmo non vedere  quel “momento”  perché siamo proiettati sempre nel domani. Ma quando arriva il momento, quando è ora, quando il frutto è maturo, il frutto cade a terra a prescindere da tutto. Il momento giusto arriva senza avvisare e il luogo è veramente relativo a volte.

“Senza tempo” è proprio un invito a fermarsi, a seguire il ritmo delle cose più preziose. Ostico ma necessario. Tra il dire e il fare tu a che punto stai?

Le mie canzoni sono come dei dialoghi interiori. Assomigliano a dei promemoria. È come se volessi parlare a me stessa ma voglio parlare a un Tu che potenzialmente è chiunque sia in ascolto. In “Senza Tempo” quando dico “Accumula istanti di nulla” è come se volessi ricordare a me stessa di farlo. Perché molte volte io per prima voglio riempire gli spazi vuoti con cose “utili“ da fare.
È certamente una canzone molto autobiografica. I momenti più felici della mia vita sono i momenti in cui l’orologio non esiste.
Quando facevo i lavori cosiddetti normali una delle cose che mal sopportavo erano gli orari. La cosa più bella è fare le cose quando ci si sente di farle. E quando ti senti di fare qualcosa, la tua energia e concentrazione sono così forti che ti basta poco tempo per fare quella cosa. Quindi l’obbligo a entrare in una tabella di marcia imposta dall’alto come alzarsi alla tal ora, lavorare alla tal ora, fare pausa alla tal ora, dover mangiare a quest’altra ora, mi portava in una dimensione inautentica che alla lunga era causa di malessere. Ora faccio il lavoro di musicista da quasi 10 anni e ho la grande fortuna di amministrare i miei orari.  Cioè, mi alzo quando voglio, mangio quando voglio etc. Questo è uno degli aspetti che più amo di questo lavoro e vedendo un po’ anche la vita e i lavori dei miei conoscenti e amici vedo che spesso il lavoro divora i loro spazi vitali e tutto viene rimandato al domani. Io ho una mia piccola teoria. La teoria del “meno soldi ma più salute”.
Anche se un lavoro non è molto remunerativo a volte lo diventa a lungo andare perché ti fa stare bene e ti fa risparmiare in medicine. La prima cosa che guadagni a fare un lavoro che ami non sono i soldi ma la salute. La salute è la cosa più preziosa in assoluto, più dei soldi e dell’oro di tutto questo mondo.

“Tempus Fugit” è stato prodotto in collaborazione con Giuvazza. Come vi siete incontrati e scelti?

Galeotti furono gli Skiantos e Sanremo. Anno 2015,  “La Trasformazione”, il mio secondo disco, era appena uscito e decisi di partecipare a un concorso indetto dall’Arci Bologna. Si chiedeva di reinterpretare un brano degli Skiantos. Il premio era aprire il Primo Maggio a Bologna.
Il Premio e il concerto erano diretti artisticamente da Eugenio Finardi e dal suo staff. Quindi mi hanno selezionato per partecipare all’evento e lì ho conosciuto Giuvazza. Ti dirò che il nostro incontro è avvenuto prima su Facebook. Lui mi ha inviato una richiesta di amicizia qualche giorno prima del concerto e io non sapevo chi fosse. Spesso quando mi chiedono l’amicizia mando un saluto e chiedo “come mi hai conosciuto?” . Allora lui mi ha spiegato chi era e mi ha detto anche che “La Trasformazione” gli era piaciuto molto, che avrebbe voluto comprare il disco e se glielo portavo al concerto.
Io ho risposto “Omaggio della casa”. Ma ho apprezzato molto questo suo gesto perché ho sentito in lui un rispetto e una comprensione per quello che faccio che raramente trovo nei famosi “addetti ai lavori”.
Al concerto non ci siamo parlati molto ma pochi giorni dopo ci siamo sentiti al telefono e lui mi ha detto una frase che ricorderò sempre “Mi sono innamorato della tua musica”. Ho composto una canzone in quel periodo (“Inconsapevoli”) e dentro di me sentivo che era una canzone classica e romantica, nata per essere vestita di archi e me la sono immaginata a Sanremo.
Ho pensato quindi di chiedere a Giovanni se voleva fare l’arrangiamento di quel pezzo e da lì è partito tutto.

Sono passati tre anni dal tuo ultimo lavoro, “La Trasformazione”. Musicalmente sotto quale aspetto ti senti più cambiata?

In questo disco ho usato il metronomo, cosa che non avevo fatto negli altri e anche diverse batterie digitali. Il sound è più electro pop in certe parti, anche grazie all’intervento di Giuvazza. Ho avuto anche una bella intesa con Luca Matteucci, l’ingegnere del suono che ha registrato il disco. Sia io che lui avevamo precise idee su alcuni suoni che volevamo nel disco. Lui diceva che la voce era la vera protagonista dell’album e ha quindi dato particolare rilievo all’aspetto vocale.
Per il resto, nel disco ci sono anche delle cose che non mi soddisfano ma credo che questo sia solo uno stimolo a migliorarsi nel futuro.

Che sensazione si prova a trovarsi tra le mani il proprio disco fatto e finito?

Può capitare che in un disco ci sia un lavoro di preparazione molto lunga, dalla composizione, studio, pre-produzione fino ad arrivare alla grafica e alla stampa possono passare anche 2 o 3 anni. E questo è stato il caso di “Tempus Fugit”. Quindi quando il disco ce l’hai in mano la sensazione è semplicemente quella di ritrovare un concetto che hai sempre avuto dentro di te. Ci possono essere anche delle brutte sorprese come nell’album “La Trasformazione”. Per un errore tecnico due tracce sono state masterizzate come se fossero una. Questo significa che sul lettore stereo compariva una traccia in meno. E quindi il numero di brani e i titoli sul libretto non combaciavano. E una di queste tracce era il singolo. Credo di aver pianto. Non e’ stato bello perché ho curato la produzione di quell’album come una maniaca, ogni minimo dettaglio, anche della copertina. Ma questo mi ha insegnato una cosa sull’arte del controllo. Non puoi controllare tutto, ci possono sempre essere degli errori. Ma prima di tutto quello che conta è scegliere bene, benissimo, i tuoi collaboratori. Questo è il più importante controllo della qualità che puoi fare.

Domanda Nonsense: dopo una giornata infernale, un bel piatto di…?

Vado di piatto super Tradizionale ma nello stesso tempo Economico, easy, veloce, super italiano e pure vegan!
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Intervista a cura di Cinzia Canali

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Cinzia Canali nasce a Forlì nel 1984. Dopo gli studi, si appresta a svolgere qualunque tipo di lavoro, ama scrivere e ha la casa invasa dai libri. La musica è la sua passione più grande. Gira da sempre l'Italia per seguire più live possibili, la definisce la miglior cura contro qualsiasi problema.

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