Mare Nero è il titolo del nuovo disco, autoprodotto, del cantautore Alessio Lega. Un’opera di “avanzi”, canzoni cioè rimaste fuori da altri dischi o riproposte con una nuova veste ma, attenzione, non si tratta affatto di “canzoni buttate via”, anzi. Questo lavoro mette in risalto, ancora una volta, l’intelligenza e la capacità autoriale dell’artista milanese.
In “Mare Nero” troviamo brani rimasti fuori da altri album. Da cosa deriva questa scelta?
I miei dischi finora avevano sempre seguito il miraggio di una sorta di coerenza – di stile, di scrittura, musicale. “Mare Nero” è per la prima volta partito solo dalle canzoni, senza nessun legame fra di loro, facendomi scoprire che anche la varietà più assoluta di forme e contenuti ha una sua ragione e una sua allegria.
La politica è un tema predominante nei tuoi brani e la cosa oserei dire quasi commovente, è che riesci ancora a dare un’accezione positiva al termine. Quindi non è tutto perduto?
Le canzoni son tutte canzoni d’amore: quelle rivolte a una sola persona poi si chiamano “canzoni d’amore”, quelle rivolte a tutta l’umanità si usa chiamarle “canzoni di protesta”, “di rivolta”, “politiche”. Se tutto è perduto è perduto anche l’amore. Se tutto è perduto ci resta solo il silenzio.
Cosa rappresenta per te la libertà?
Il contrario della morte. Oppure un sinonimo dell’amore.
Quanto sacrificio costa fare musica oggi, nell’epoca del “mordi e fuggi”?
L’attitudine deve essere quella di impegnarsi nei propri progetti come se si fosse pagati e divertirsi a farlo come se si partecipasse a una festa.
Come ti sei avvicinato alla musica e alla scrittura?
A me è sempre piaciuto ascoltare e raccontare storie, la canzone mi pareva uno dei modi più sintetici di farlo. Avvicinarsi alla musica è una cosa abbastanza naturale, il problema semmai è quello di continuare senza allontanarsi da quella prima vocazione.
Domanda NonSense: dovessi insegnare Storia ai bambini attraverso la musica. Da che brano cominceresti?
In generale o scegliendolo un brano di questo disco? In generale partirei dall’”Internazionale”, una splendida canzone scritta da un autore che temeva di essere scoperto e fucilato, e che scriveva come se fosse un testamento per gli uomini del futuro. In questo disco mio invece sceglierei “Ambaradan”, perché parla di quando noi – nella nostra epoca colonialista – siamo andati ad “aiutare a casa loro” i nonni di chi oggi emigra in Italia. Massacri, ruberie e umiliazioni: questo il marchio di fabbrica degli “italiani brava gente”.
Intervista a cura di Cinzia Canali