Alla voce Postino leggi: tutte quelle parole che normalmente rimbalzano in camera tra i muri. È così che si definisce il cantautore fiorentino che ha deciso, per fortuna, di lasciare andare musica e parole oltre quelle pareti. Latte di soia è il titolo del primo disco di Postino, anticipato da “Blu”, singolo entrato velocemente nella classifica top 50 Viral Italia di Spotify.
Parliamoci in modo molto schietto: il latte di soia fa abbastanza schifo, io preferisco quello di avena se proprio devo trovare un’alternativa…
Se lo bevi insieme al caffè e fai latte di soia e caffè diventa bevibile. Ma poi lo sai che non si può nemmeno più chiamare Latte di Soia? È stata abolita questa dicitura dalla corte di giustizia europea perché “la denominazione «latte» e le denominazioni riservate unicamente ai prodotti lattiero‑caseari non possono essere legittimamente impiegate per designare un prodotto puramente vegetale”. Quindi andrebbe chiamato, non so, estratto di soia. Ho scritto un disco che era scaduto già prima di uscire, con il titolo sbagliato.
Un disco nuovo di zecca e un singolo, “Blu”, diventato virale in pochissimo tempo. Come ti senti?
Non mi sento o meglio non ci penso, altrimenti mi sentirei sotto pressione, sentirei il peso della responsabilità di un pubblico che ti ascolta mentre fino ad ora al massimo cantavo in camera da solo. È sicuramente un momento spiazzante della mia vita, tra qualche mese forse saprò darti una risposta più definita a questa domanda.
“Latte di soia” è uno di quegli album che fa sentire meno soli, lavorarci per te è stato terapeutico come probabilmente lo sarà per i tanti che lo ascolteranno?
I brani che sono dentro questo album li ho scritti negli ultimi 6 anni, insieme a tanti altri che prima o poi usciranno. Sono nati quasi tutti attraverso lo stesso iter che credo sia il mio metodo di scrittura ovvero in bagno il giorno dopo una sbronza. Dico sempre che per me il progetto Postino è uno sfogo terapeutico tra le corde di una chitarra e cinque frasi, perché è tutto nato un po’ così per caso, da solo. Sicuramente tirare fuori quello che hai dentro e chiuderlo in una canzone è liberatorio e sconcertante allo stesso tempo, perché rendi eterno un momento della tua vita, anche se tra 30 anni quella canzone l’ascolterai soltanto te, rivivrai comunque quelle sensazioni. Spero che a chiunque lo ascolti, arrivi il racconto della quotidianità, quella che tutti viviamo ma che molte volte non ci fermiamo ad osservare ed analizzare, che ci passa davanti senza che ce ne accorgiamo, le nostre crisi, le mancanze, le piccole cose, le fondamentali piccole cose. Più che auspicarmi che sia terapeutico per chi lo ascolta, mi auguro che arrivi dentro e che dia qualche spunto di sana riflessione.
C’è un brano che pensi rappresenti meglio l’intenzione del disco?
Non credo, non ho nemmeno mai pensato a questa cosa. Tra i vari pezzi scritti in questi anni, ho scelto di inserire proprio questi 8 brani in “Latte di soia” perché credo che tocchino vari lati della condizione umana, dai cambiamenti di stato e di animo, alla voglia di evasione, al conformismo quotidiano.
L’intero disco rappresenta l’intenzione del disco.
E di questo nuovo genere definito POPstino cosa ci racconti?
POPstino è un tentativo umoristico di smarcarsi in parte dal panorama indie-pop italiano. Un tentativo di unire testi che affondano le radici nel cantautorato italiano per esempio a Dalla, Battiato, Fabi e che trattano tematiche esistenziali, ad un’elettronica vintage più ispirata agli anni ’80, per esempio a Alberto Camerini.
Domanda Nonsense: il ritornello che ti risuona nel cervello da stamattina?
Show Me How – Men I Trust. Ho rivisto il video stamattina, la voce di lei è ipnotica. “Show me how you care, tell me how you were loved before, show me how you smile”, poi non me la ricordo, e tra l’altro questa è la strofa, credo.
Intervista a cura di Cinzia Canali
