Tales from the ocean è il titolo del nuovo disco dei We Are The Bears, duo napoletano formato da Vincenzo Sorrentino (chitarre/voci/suoni) e da Gaetano Garofalo (drums/percussioni).
Con questo nuovo lavoro, uscito il 10 novembre per Bulbart, i due si sono spinti ancora di più verso territori inesplorati in Italia, cercando di dare vita ad un sound più internazionale.
La caratteristica principale dei We Are The Bears?
Credo che la caratteristica più importante sia che non siamo identificabili in un genere ben preciso. Io (Vincenzo) e Gaetano apparteniamo a mondi musicali diametralmente opposti e quando componiamo i due mondi si fondono. Ecco perché ascoltando TALES FROM THE OCEAN si possono avvertire diversi stili, dallo shoegaze alla psichedelia, ritmi jazz che si perdono nei riverberi della voce. Essendo un duo è tutto più facile, non abbiamo linee da seguire e dal vivo l’improvvisazione la fa da padrona.
Raccontateci la genesi di “Tales from the ocean”.
“Tales from the Ocean” è un percorso durato circa 9 mesi tra scrittura e registrazione. Quando siamo entrati in studio non tutti i brani erano chiusi. Avevamo bisogno di una scossa, di uscire dalla nostra sala, entrare in studio e completarli lì. Una scelta che ha portato brani come TUMBAO ad avere un finale letteralmente improvvisato di mandolino.
Abbiamo adorato ogni singolo processo di questo disco. Quando registri metti in discussione tante cose, “Avrò usato la chitarra giusta?”, “Tutti questi effetti sono necessari?”.
Con noi hanno lavorato Cristian Onorato e Riccardo Teletta, il confronto con loro è stata la parte più importante di questo disco.
Il video di “Pompei”, primo singolo estratto, è girato sul Vesuvio e il risultato è profondamente suggestivo. Di chi è stata l’idea?
Per il video di POMPEI volevamo un luogo circondato da una natura incontaminata, selvaggia, un luogo caldo, pieno di colori e a tratti ipnotico. Il Vesuvio è stata la scelta giusta.
Per le riprese e il montaggio ci siamo affidati alla video maker Naki Palomba. È riuscita a immortalare il nostro viaggio dal punto più basso alla cima del Vesuvio.
Quanto incide Napoli, la vostra terra, nella composizione dei pezzi?
Chiaramente in fase di sperimentazione e ricerca ascoltiamo di tutto ma crediamo che Napoli non abbia in alcun modo influenzato il nostro sound, non a caso questo viene apprezzato più “fuori” che qui.
A proposito di sound, il vostro risulta già ben riconoscibile. Buona parte del merito direi che va alla ricerca e alla cura costante del suono e di ogni dettaglio, ma ritenete ci sia dell’altro da aggiungere?
Il “suono Bears” ha richiesto mesi di prove, di settaggi particolari, di esperimenti per creare quelle atmosfere psichedeliche, ambient.
In due non è una cosa semplicissima, ma tutto ciò ci diverte perché siamo sempre precisi, attenti ad ascoltare cose nuove, provare strumenti nuovi. Il nostro metodo di composizione è un po’ particolare, la prima fase l’affrontiamo insieme, poi c’è una fase “X” in cui lavoriamo separati tirando fuori ognuno la sua visione del pezzo, infine la fase più importante è quando ci vediamo a distanza di giorni e uniamo idee e stili differenti.
Domanda Nonsense: riuscite a stare più di un giorno senza toccare uno strumento?
No, impossibile! Forse solo il lunedì!
Intervista a cura di Cinzia Canali
