Approcciarsi ad un live dei Cold Cave non è un’esperienza facile: la sensazione è quella di trovarsi davanti a brani che escono dagli strumenti come istantanee distopiche. La musica di Wesley Eisold è paranoica al punto giusto da catturare tutti i presenti in sala, che al Quirinetta hanno creato una cornice suggestiva per il passaggio italiano della band.
Un sound live a cavallo tra The Cure e New Order che fa diventare l’atmosfera un eterno battere: ogni parete, mattonella, essere umano nel locale infatti pulsa intorno al dream pop/ dark wave che viene fuori.
Il livello di interazione dell’artista, nonostante sia molto basso, crea ancor di più un dialogo unico, silenzioso dove solo la musica conta e niente più.
In un libro di Lidia Yuknavitch, autrice contemporanea esperta di distopie e mondi distrutti dal cambiamento climatico, c’è una frase bellissima che riassume un live che, nonostante proponga dosi massicce di elettronica e sintetizzatori, rimane confinato in una bellissima dimensione intima: “Ho costruito un mondo che è solo una piccola distanza dal nostro tempo presente”. Ed è proprio così che si vive un live di Cold Cave: in costante e breve distanza dal mondo fuori.
In ogni parte del live si ha comunque la percezione di stare dinanzi ad un grande artista che riesce ad accendere, seppur a modo suo, il pubblico.
I due sintetizzatori accanto a Eisold svettano creando un tappeto sonoro perfetto per una voce così strana e particolare da sembrare mistica.
Le scritte e le immagini che compaiono dietro al gruppo sono evocative, e spesso vengono coperte dall’enorme quantità di ghiaccio secco sparato sullo stage che avvolge in una perenne nebbia tutti, spesso anche il pubblico.
Per consegnare un’immagine descrittiva del genere di serata creata dai Cold Cave immaginate una festa agli antipodi, rispetto a quelle del Grande Gatsby, senza sfarzo o ostentazione.
La forza di un concerto fatto da un artista del genere sta in una capacità di raccontarsi, con macabra semplicità.