Dopo aver sentito tessere le lodi di questa musicista sicula da più fonti, il sottoscritto si è recato al Teatro Coppola carico d’aspettative, con l’intento di verificarne con occhi propri – ed orecchi soprattutto – la reale consistenza. Il palco, per l’occasione, era assemblato attorno al piano, il quale dava già l’idea della centralità stessa dello strumento a livello armonico e melodico; mentre ai lati, a coadiuvarlo, un paio di chitarre suonate da Marco Corrao ed una sezione drums su cui operava Raffaele Trimarchi.
Roberta stessa, definisce le tracce del suo secondo album “Piena di(s)grazia” (uscito il 22 Gennaio per l’etichetta Private Stanze/Audioglobe) come: “Nove preghiere che cantano la collettiva rabbia”; e chiunque lo ascolti, riesce in maniera chiara a percepire lo spirito di denuncia sociale ed amara rassegnazione che risalta dai testi, come pure certe caratteristiche sonorità e missaggio dei brani che rimandano la memoria alla produzione di Cesare Basile (coproduttore artistico dell’album).
Tornando al concerto, Roberta stabilisce sin da subito un rapporto confidenziale con lo spettatore, entrando nel merito dei testi e raccontando frammenti del suo passato come preambolo ai brani o anche durante gli stessi, nelle battute iniziali. Ennese d’origine, racconta di come a trent’anni abbia dismesso ogni speranza di cambiamento del meridione, che nessuno vuol cambiare, e che quando cambia è solo per non cambiare – in senso “gattopardiano”.
Musicalmente parlando, a parte la costante della voce e del piano di Roberta, gli arrangiamenti avevano connotazioni prettamente differenti rispetto all’album, di parecchio, ma non per questo meno apprezzabili, anzi: la batteria innanzitutto, più accentata ed articolata, conferiva ai brani connotazioni decisamente tribali, quando questa non veniva sostituita da una drum machine se le braccia di Raffaele non erano impegnate sul synth o sul basso.
Anche Marco, anch’egli migrante alla bisogna da chitarra a basso, connotava i brani con sonorità dal retrogusto mediorientale – dalle quali innegabilmente attinge il patrimonio musicale siculo; queste si sposavano alla perfezione con tutto il resto, talora spezzandone la continuità quando suoni spaziali e dissonanti permeavano l’atmosfera, talora scandendone i tempi lanciando il lead melodico principale come nel brano “Giru di ventu” (eseguito pure come bis). Molto apprezzato, nella sua esecuzione intimistica, pure il brano “Brava bambina”, eseguito quasi interamente da piano e voce, come anche il brano “Piena di(s)grazia” che dà titolo all’album.
Detto ciò, non posso che consigliare al lettore di assistere ad un concerto di Roberta Gulisano, la quale a breve sarà impegnata in un tour in Toscana, pur senza far mancare (immagino) concerti nella sua amata – e anche maledetta – isola che la ispira. E che sempre la vincola.