Sul New Yorker di qualche giorno fa lo scrittore brasiliano Raduan Nassar ha scritto, dopo il suo abbandono alla letteratura: “Perchè da quando ho abbandonato la letteratura sono diventato improvvisamente un personaggio affascinante?”.
Fortunatamente noi in Italia stiamo imparando a scoprire personaggi interessanti, in questo caso in ambito musicale, prima delle loro rinunce, ritiri, suicidi o altre situazioni irreversibili.
Gli ultimi arrivati sono i Blindur che con l’omonimo album, uscito per La Tempesta, ci hanno permesso di scoprire una nuova attraente realtà della nostra musica. La scelta dello scrittore per aprire la recensione non è casuale, data la provenienza del duo. Nassar è sudamericano e la città più vicina emotivamente al Sudamerica è Napoli, casa natale di Michelangelo Bencivenga e Massimo De Vita, cantautore, polistrumentista e produttore.
Eppure, ironia della sorte, i Blindur con Napoli, tranne per la bellissima inflessione dell’accento, hanno apparentemente pochissimo in comune.
I territori vicini al duo sono quelli di artisti come Sigur Ros e Bjork, ovvero l’Islanda. Nel disco d’esordio loro sono capaci, forse proprio attratti dai paesaggi, di creare un disco che ha una collocazione geografica tra Nashville, Reykjavik e la fattoria di Nassar.
“Tutto è così imprevedibile, basta un attimo e noi cambiamo e il bello è che non è per niente strano” così recitano in Imprevedibile i ragazzi ed effettivamente in tutto il disco la struttura ritmica è solida e al tempo stesso dinamica, ubriacante.
Anche in pezzi come XI agosto, un apice di pace del disco, la forma è imprevedibile: in ogni secondo di ascolto ci si attende una svolta, che puntualmente arriva.
La struttura dei pezzi è precisa, ma allo stesso tempo non è scarna o minimal, ma piena ed efficace.
Il pezzone del disco è Aftershock, una vera vetta anche dal punto di vista testuale, diversamente da altri leggermente piuttosto prevedibili nel linguaggio.
Lunapark è la canzone a chiusura dell’album, la più vicina ai loro amati Sigur Ros, ma nonostante la loro passione per l’esterofilia non c’è mai quella sensazione di conformazione ad un sound non personale.
Se la collocazione è a metà tra USA, Islanda e fattorie brasiliane, i testi sono puramente italiani, e si sente che sono stati catturati dalla scena indipendente italiana degli ultimi anni.
Con Canzone Per Alex si dimostrano anche attenti alle vicende contemporanee, e non solo: infatti sono capaci di un racconto originale della storia di Alex Schwazer.
A sintetizzare il lavoro e i testi dei Blindur ci ha pensato proprio il vecchio fattore brasiliano: “A terra, o trigo, o pão, a mesa, a família; existe nesse ciclo, dizia o pai em seus sermões, amor, trabalho, tempo”.
I Blindur sono capaci di coniugare il folk rock della nostra penisola con una rete immensa di altre realtà, forse per questo in qualche fattoria in Sudamerica, a mollo in una pozza termale in Islanda o tra le montagne di un paese in Abruzzo, qualcuno sentirà il bisogno di ascoltarli.