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“BUGATTI CRISTIAN”: PERCHE’ BUGO NON È MAI ANDATO VIA [Recensione]

“Non sono il più intonato di tutti, ma di certo sono più sincero di molti.” Così Cristian Bugatti, in arte Bugo, ha risposto con un post sul suo profilo Instagram alle critiche dei giorni sanremesi e ai commenti ironici sulla lite con Morgan che ha caratterizzato il festival dello scorso anno. “Bugo è qui”, scrive ancora, “non sono mai andato via”. Ed è infatti sul percorso tracciato nel 2020 con l’uscita di “Cristian Bugatti” che l’artista lombardo continua a camminare, con la pubblicazione di “Bugatti Cristian” il 5 marzo, il giorno prima della proclamazione del vincitore della 71esima edizione del Festival di Sanremo. Quasi un secondo capitolo della storia musicale inaugurata lo scorso anno: ai nove brani di “Cristian Bugatti”, se ne aggiungono cinque, fra cui “E invece sì”, con cui Bugo si è posizionato al 24esimo posto in gara, seguito da Aiello e Random.

Bugo non è mai andato via. E lo si può comprendere chiaramente dal titolo del nuovo album: cognome e nome, nient’altro. Perché è questo il suo obiettivo: essere “Sincero”, come la canzone che ha portato in gara insieme a Morgan nel 2020 e che ben descriveva l’autore che l’aveva scritta, rispetto a cui le nuove composizioni si pongono in un rapporto di continuità. Il sound elettronico è lo stesso, il richiamo alle influenze del cantautorato italiano del passato anche. Ma c’è una maggiore consapevolezza, un forte desiderio di gridare al mondo che c’è molto di più di un meme sui social, molto di più di un momento televisivo che fa crescere gli ascolti. C’è un artista, uno dei primi della scena indipendente italiana, che si era già distaccato dal resto pubblicando “Io Mi Rompo i Coglioni” nel 2002 (incluso in “Dal Lofai al Cisei”). “Un alieno”, come si autodefinisce nella penultima traccia, sicuramente una delle più radiofoniche: “Io discendo da Adamo, ma mi sento più E.T.”. Che si sentisse diverso lo sapevamo bene. Eppure, nel suo ultimo progetto, Bugo parla della libertà di essere e di restare fedeli a se stessi come se si trattasse di un fil rouge che collega nel complesso i brani, ciascuno con la sua individualità dirompente. In questo senso, “Come mi pare” rappresenta nel migliore dei modi l’indipendenza che da sempre veste le sue azioni e le sue scelte, in campo discografico e altrove. Di fronte alle dissonanze nelle opinioni dei critici e del pubblico, Bugo rimane quel Cristian Bugatti che ha conosciuto la musica nel 1994. Vive “Fuori dal mondo” e canta anche che non ci vuole tornare, nella dodicesima traccia. È per questo che rimane legato alle sonorità degli anni ’60, decennio in cui- ha dichiarato- gli piacerebbe fare un salto, se avesse una macchina del tempo. Riprende quindi lo stile vocale e compositivo di Battisti, cantautore che da sempre lo ha ispirato e che ha voluto omaggiare nella scelta della cover per la serata del 5 marzo a Sanremo: Bugo ha duettato su “Un’avventura”, l’unico pezzo con cui Lucio Battisti partecipò alla kermesse televisiva nel 1969, con i Pinguini Tattici Nucleari, band bergamasca classificatasi al terzo posto a Sanremo 2020. Il gruppo è presente anche in uno dei due featuring dell’album, “Meglio”, una celebrazione della normalità e perfino della noia della domenica: un inno minimal alle piccole cose e ai  “brutti film” su cui addormentarsi.

Un’altra collaborazione vincente all’interno di “Bugatti Cristian” è quella con Ermal Meta, in “Mi manca”, pubblicato come singolo lo scorso maggio, dove la tematica amorosa è trattata con una dolcezza struggente che contrasta con la leggerezza baustelliana di “Fuori dal mondo”. Le contaminazioni cantautoriali italiane tornano ancora in “O che cosa”, brano che chiude l’album, uno dei più intensi e profondi, che sembra seguire le orme di “Canzoni Stonate”, singolo del 1984 di Gianni Morandi. Bugo si colloca lì: a metà strada fra la tradizione, che continua a trasmettere adattandola alle peculiarità della sua voce, e l’elettronica, che dai primi anni 2000 lo accompagna nella sua produzione musicale.

Bugo è qui e, forse, è arrivato il momento di rendersene conto. Perché a prescindere da ciò che viene mostrato sui social e in tv e che si distingue per la sua provvisorietà e per la rapida dissoluzione di una tendenza temporanea, resta la musica. Resta un autore e restano le canzoni, testamento eterno di una delle più nobili forme d’arte che esista.

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Studentessa di Comunicazione per le Imprese e dottoressa in Economia dei Beni Culturali e Dello Spettacolo, ha 22 anni, ma al suo primo concerto era nel passeggino, mentre Ligabue urlava contro il cielo. "Il favoloso mondo di Amélie" è il suo film preferito, forse perché, come la protagonista, lascia la testa sulle nuvole, abbandonandosi a una realtà fatta di libri, musica, cinema, teatro e podcast.

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