La band 15 Minutes of Shame, proveniente dal territorio di Frosinone, lo scorso autunno ha pubblicato il suo secondo album per l’etichetta VDSS records, Born To Lose in cui, a partire dal punk di maniera, cerca di avvicinare il power pop e il rock, senza distogliere però lo sguardo dal disagio, che è il tema portante del disco.
Ecco la chiacchierata che ho fatto con loro.
Spiegateci il perché del vostro nome “15 Minutes of Shame”
C’è chi lo prende come una parodia o, per meglio dire, una storpiatura dei famosi “15 minutes of Fame” del maestro Andy Warhol, chi cerca di ritrovarvi chissà che significato nascosto. Potremmo certo approfittarne e inventarci chissà cosa per rispondere a questa domanda, ma preferiamo la verità: è il titolo di una puntata de I Griffin che ci sembrò adeguata per esprimere ciò che siamo.
Potreste invece raccontarci il vostro secondo album, “Born to Lose”?
Born To Lose è la nostra essenza ritrovata o, ancora meglio, la nostra essenza finalmente scoperta, portata alla luce e resa in forma. Era ciò che avevamo dentro da sempre, come band, e che non eravamo riusciti a tirare fuori con il primo album “Scrambled Eggs” e ciò al quale ci eravamo avvicinati con il mini-ep Sadness/Sirens Call, ma che ha preso forma solo in Born To LOse. Il tema centrale espresso nel disco è il Disagio, ricorrente in tutti i testi dei vari brani che lo compongono e trattati in modo serio ma anche in modo più parodico (“superrafishgirl” e “you really know me”). La ricerca sonora sta nel miscelare un sound vintage con delle melodie vocali e degli arrangiamenti più moderni.
Ascoltando i vostri brani, c’è un grande richiamo nel sound ai Ramones o al punk anni ’70 in generale. Cos’è il punk per voi?
Il punk, nel suo significato più povero, è lo sfogo del ragazzo bianco di provincia che si sente incapace di ricoprire un ruolo tradizionale in questo mondo e che fatica a trovare un’identità nella società in cui vive, nella quale, appunto, non si riconosce e non riesce a riconoscersi, anche se vorrebbe. Punk non è far finta di odiare il mondo, dire che tutto fa schifo e fare il bastian contrario a tutti i costi come credono molti alternativo di oggi, che di punk non hanno neanche un’unghia. Non bisogna strillare perché fa figo, ma perché stai male dentro e quel momento in cui strilli sulla tua musica butti fuori i tuoi malesseri e i tuoi fallimenti.
Anche se il punk ha una tradizione prevalentemente anglosassone, pensate di cantare un giorno anche in italiano?
Assolutamente no. Bisogna essere molto bravi a rendere interessante in Italiano questo genere di musica e noi non lo siamo abbastanza.
C’è qualche artista con cui vi piacerebbe collaborare prima o poi?
Senz’altro, con Steve Albini come produttore artistico.
Fabrizio De Angelis